Riecco Donadoni: sotto lo stop, niente

Giocarsi al primo rigo la cosa più bella di Donadoni a Napoli può incidere pesantemente sulla riuscita dell’articolo. Ma correremo il rischio. E la cosa più bella, probabilmente l’unica, fu uno stop con palla che scendeva a candela. Era estate. Seconda di campionato, la prima al San Paolo dopo la sconfitta di Palermo e prima […]

Giocarsi al primo rigo la cosa più bella di Donadoni a Napoli può incidere pesantemente sulla riuscita dell’articolo. Ma correremo il rischio. E la cosa più bella, probabilmente l’unica, fu uno stop con palla che scendeva a candela. Era estate. Seconda di campionato, la prima al San Paolo dopo la sconfitta di Palermo e prima degli schiaffoni di Marassi. Giocavamo contro il Livorno, era anche l’esordio napoletano di Quagliarella. Donadoni era in piedi davanti alla panchina. Un pallone stava cadendo praticamente dal cielo sulla sua testa, Donadoni non fece una piega e lo smorzò a terra. Applausi del San Paolo. Gli unici per Donadoni in quasi un anno di panchina.

Perché furono due le stagioni di Donadoni, mezze stagioni dovremmo dire. Rimpiazzò Reja che dopo il solito inizio sprint era caduto in una incredibile crisi di risultati. Diciamo la verità, Reja non avrebbe meritato l’esonero. Venne riabilitato dai risultati del suo successore che ebbe il solo merito di ricordare a Pia’ di essere un attaccante. Modesto ma comunque un attaccante. Nulla più.

Poco, ancora troppo poco. “Osso”, questo il soprannome di Donadoni, fu scelto da De Laurentiis in prima persona. Si espose il presidente, fin lì nascosto dietro Pier Paolo Marino. A modo suo era andato sul sicuro, aveva preso l’ex commissario tecnico della Nazionale eliminato soltanto ai rigori che poi avrebbe vinto tutto. Se, ipoteticamente, ne avesse parlato con Ferlaino, non avrebbe mai commesso quell’errore. Lui, l’Ingegnere, decise di non ingaggiare Cagni perché una sera a cena ordinò un brodino. “Uno che ordina un brodino non può fare l’allenatore del Napoli”, disse anni dopo Ferlaino.

E probabilmente anche Donadoni è uomo da brodino. Di certo è uno che non ha mai scaldato i cuori. Non ha lasciato traccia. Ma aveva un suo ascendente sul presidente. I soldi glieli fece spendere. Gli fece comprare Cigarini e Quagliarella. Quell’anno arrivarono anche Denis e Zuniga, forse pure Campagnaro. E l’affare Di Natale saltò solo perché Totò si oppose. Resta la campagna acquisti più spendacciona del Napoli. Probabilmente quella col passivo più pesante.

Era un Napoli senz’anima. Giocava benino fin quando la partita non si scaldava. Dopodiché era notte fonda. Vinse due gare in sette partite, contro il Livorno e contro il Siena. Venne esonerato dopo la sconfitta a Roma per 2-1. Se ne andò in compagnia di Pier Paolo Marino. Al posto suo arrivò Walter Mazzarri e fu come passare da Orietta Berti a Iggy Pop.

L’allenatore più anonimo della gestione De Laurentiis. In fondo alla classifica, dietro Ventura che qui non ebbe fortuna.

Un amico, quest’anno, dopo la sconfitta di Roma, pronunciò quella che a oggi considero la frase più offensiva nei confronti di Benitez: «Un Donadoni un po’ più strutturato». Gliela ricordo quasi ogni settimana. Ci vediamo sabato sera, Donadoni.
Massimiliano Gallo

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