Ma come vogliamo vincere se noi tifosi non cresciamo mai?

Che poi vogliamo ricordarlo che la partita l’ha chiusa una magia di Pirlo? Perché noi facciamo sempre quelli che non si vogliono sporcare le mani. Ah no, noi le partite le vogliamo vincere al di là di ogni ragionevole dubbio. Senza guardalinee, senza rigori non concessi all’ultimo minuto, altrimenti si apre il dibattito sulla sportività. […]

Che poi vogliamo ricordarlo che la partita l’ha chiusa una magia di Pirlo? Perché noi facciamo sempre quelli che non si vogliono sporcare le mani. Ah no, noi le partite le vogliamo vincere al di là di ogni ragionevole dubbio. Senza guardalinee, senza rigori non concessi all’ultimo minuto, altrimenti si apre il dibattito sulla sportività. Perché a noi, napoletani brutti sporchi e cattivi, non devono dire nulla.

Il calcio, come la vita, è invece sangue e merda. Tranquilli, non siamo impazziti da un giorno all’altro. Noi domenica abbiamo perso meritatamente, lo abbiamo scritto e lo ripetiamo, abbiamo rifiutato (perché ci crediamo) di alimentare il can can sul fuorigioco e sull’arbitraggio (perché Rocchi ha arbitrato male, fischiando tutto, spezzettando la partita). Ma se poi dobbiamo ascoltare processi come se fossimo il Milan decimo in classifica a 19 punti dalla vetta, allora un po’ ci girano.

E ricordiamo che Mourinho, il mitico Mourinho, è diventato Mourinho grazie a un gol all’ultimo minuto all’Old Trafford con il suo Porto. Una qualificazione immeritata, ragionando coi guanti calcistici. Il calcio, però, non è il golf, non è il bridge. E allora vale la pena ricordare che noi domenica sera siamo stati definitivamente scalzati dalla partita da due colpi di genio: la punizione di Pirlo (di cui parlano tutti, non solo in Italia) e un colpo d biliardo di Pogba.

Poi, per carità, apriamo i processi, interroghiamoci su Hamsik, facciamo (sì, abbiamo letto anche questo) i paragoni tra Cavani e Higuain. Ma a che cosa ci serve? Come se non sapessimo che i processi di crescita, come ha scritto Zambardino su Twitter, non seguono mai un percorso verticale. Certo, se dopo il pari col Sassuolo sembrava che fosse venuto giù il mondo, figuriamoci dopo il 3-0 a Torino. Quel Sassuolo qualche settimana dopo incredibilmente riabilitato dalla storia con un pareggio – udite udite – conquistato sul campo della capolista Roma.

Ma poi una domanda: perché tutto questo malessere che puntualmente viene fuori a ogni passo falso? Sembra che ci sia qualcosa di più rispetto al fisiologico dolore del tifoso. Siamo terzi in classifica, a quattro punti dalla vetta. Lo siamo nell’anno della Champions che, come ci avevano detto, toglieva dieci punti. E nel girone della Champions, il più duro tra gli otto gironi, siamo primi a pari merito, in lizza per la qualificazione. Una qualificazione difficile, per carità, ma siamo in lizza. Contro due squadre che oggi non so mica se perderebbero col Real Madrid. E a dirla tutta non so nemmeno se Juve e Milan avrebbero battuto per due volte il Marsiglia.

C’è un progetto e c’è un lavoro in atto. Ma quale progetto parte e procede a mille all’ora? Quale processo di crescita non ha bisogno dei suoi tempi, dei suoi errori, delle sue limature, dei suoi ripensamenti? Perché continuiamo a considerare il calcio come qualcosa di avulso dalla vita di tutti i giorni? Abbiamo cambiato mezza squadra, abbiamo fatto una campagna acquisti praticamente senza sbagliare un colpo, abbiamo cambiato allenatore, abbiamo cambiato modulo di gioco, stiamo cercando di cambiare mentalità. E siamo lì, ai vertici. In due mesi e mezzo. Come nemmeno il Real Madrid che nella Liga è terzo a sei punti dal Barcellona. Poi, per carità, il dibattito è libero, ci mancherebbe. È il bello del calcio. Abbiamo detto persino che Benitez – uno che ha qualcosa ha vinto nella vita, ma giusto qualcosa – non sa fare la preparazione atletica. Roba che se la racconti in giro si sbellicano dalle risate. Abbiamo scritto che Higuain è sfaticato negli allenamenti. Che Hamsik è invidioso del rinnovo di Zuniga. Di tutto abbiamo letto.

Insomma, Napoli, quand’è che riuscirai a ragionare in prospettiva? Quand’è che metabolizzerai il concetto che i risultati sono frutto del lavoro, dell’abnegazione, del sacrificio, della programmazione, della ripetizione ossessiva del gesto e non del guizzo geniale? Le vittorie si costruiscono non solo nel campo, anche fuori. Per questo motivo continuo – forse sbagliando – a non considerare Roma come una rivale per lo scudetto. Per l’ambiente. Non diventiamo come loro. Per favore.
Massimiliano Gallo

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