La verità è che avevamo paura. Ora, però, non dimentichiamo che era il Bologna

La verità, inconfessabile, è che avevamo paura. Come a ogni primo appuntamento che si rispetti. Avevamo paura di annoiarci a morte, avevamo paura che da un momento all’altro mettesse quella sua forchetta nel nostro piatto, avevamo paura che sudasse come una fontana e facesse cadere le bottiglie sul tavolo. E avevamo persino paura che alla […]

La verità, inconfessabile, è che avevamo paura. Come a ogni primo appuntamento che si rispetti. Avevamo paura di annoiarci a morte, avevamo paura che da un momento all’altro mettesse quella sua forchetta nel nostro piatto, avevamo paura che sudasse come una fontana e facesse cadere le bottiglie sul tavolo. E avevamo persino paura che alla fine ci chiedesse persino di fare a metà. Perché, diciamocelo, non sapevamo chi avevamo di fronte. Perché noi napoletani siamo così: puoi aver conquistato le Piramidi, ma se non hai il record di salita delle scale di San Potito non sei nessuno. E lui lo ha capito benissimo. Non ha parlato mai di sé. E sì che avrebbe potuto farlo. Di quella volta che recuperò quei tre portafogli, solo contro tutti. Insomma, per chi ama Fantozzi, avevamo paura della sindrome Calboni, quella che colpì la signorina Silvani quando decise di concedere una prova al ragioniere Ugo.
E invece ci siamo alzati da tavola che non credevamo ai nostri occhi. Sin prisa pero sin pausa. Proprio così. Non me ne vogliano i tifosi del Napoli, ma ancora una volta – e tante altre ancora accadrà – sono costretto a nominare l’uomo di Fusignano. Sono tornati alla mente i racconti di chi ha assistito ai suoi allenamenti a Milanello, quel suo gridare “intensi, intensi”, con la esse romagnola. E intensi li abbiamo visti, in quei primi venti minuti in cui è parso di veder giocare un’altra squadra. Palla a me, palla a te, palla di nuovo a me ma cinque metri più avanti, difesa che lentamente sale, squadra che si accorcia, e poi il taglio, oppure si ricomincia. Due passaggi sbagliati in dodici minuti, uno di Zuniga e l’altro di Hamsik. E poi quel Callejon, che già avevamo considerato novello scartiloffio castigliano.
Tranquilli, non siamo impazziti, lo sappiamo che di fronte c’era il Bologna e non il Borussia Dortmund. Non ci hanno mai preso in velocità, avanti avevano solo un attaccante di peso, l’ideale per una difesa come la nostra. Ma questo, al momento, conta poco.
Oggi conta altro. Sappiamo che c’è un’idea. Un’idea forte. E sappiamo soprattutto che quest’idea piace anche alla squadra. Persino a chi, come Maggio, soprattutto, e Inler, faranno più fatica ad assimilarla.
Adesso, ovviamente, come spesso ci capita, non dobbiamo cadere nell’eccesso opposto. La strada è ancora lunga, molto lunga. Però sappiamo che non si procede a tentoni. Lo sappiamo noi, e lo sa anche il presidente. La prova di ieri sera è servita anche a lui. Sa di avere un telaio di sicuro affidamento, sta a lui adesso contribuire ulteriormente alla crescita aggiungendo qualche pezzo pregiato.
Noi, intanto, aspettiamo Verona. Più tranquilli, ma senza esaltarci. Insomma, sin prisa pero sin pausa.

Massimiliano Gallo

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