L’addio più doloroso resta quella di Vinicio

Sono stati ricordati su questo sito gli “addii dolorosi” del Napoli, quei giocatori andati via nel rimpianto dei tifosi. Maradona non andò via. Fu “costretto” ad andar via. Ha lasciato la nostalgia infinita di sette anni indimenticabili, gioie e dolori, fantasie e “rabone”, il San Paolo sonoro, non solo i due scudetti, ma un incantesimo […]

Sono stati ricordati su questo sito gli “addii dolorosi” del Napoli, quei giocatori andati via nel rimpianto dei tifosi. Maradona non andò via. Fu “costretto” ad andar via. Ha lasciato la nostalgia infinita di sette anni indimenticabili, gioie e dolori, fantasie e “rabone”, il San Paolo sonoro, non solo i due scudetti, ma un incantesimo che non era mai successo.
La cessione di Altafini e Zoff alla Juventus. Furono i due ex azzurri che aiutarono la Juve a vincere a Torino (6 aprile 1975) quella partita sul Napoli troncando la corsa-scudetto degli azzurri. Zoff parò il tiro di Juliano che sarebbe valso il 2-1 per il Napoli, Altafini segnò quel gol da core ‘ngrato che dette la vittoria (e lo scudetto) alla Juventus.
Anche le cessioni di Ciro Ferrara e di Zola lasciarono l’amaro in bocca e nel cuore.
Ma devo dire che una sola cessione colpì nel profondo il popolo azzurro. La cessione di Vinicio al Bologna.
Erano tempi di arsenico e vecchi merletti nel Napoli. Le due ultime stagioni di Vinicio (7 gol a campionato nel 1958-59 e 1959-60) furono contraddistinte dal declino della squadra. Nel suo terzo campionato nel Napoli (1957-58) il leone aveva segnato 21 gol.
Fallì un nuovo tandem, quello tutto brasiliano di Vinicio e Del Vecchio. Era fallito quello con Vinicio e Jeppson. Amadei, da molti ritenuto da allenatore “l’anima nera” del Napoli”, insisteva con Lauro perché cedesse Vinicio. Col Comandante il frascatano aveva un rapporto privilegiato.
“Non sta bene” disse Amadei a Lauro parlando dei pochi gol di Vinicio.
Corse la voce che il brasiliano fosse affetto da un numero insufficiente di globuli rossi. In realtà, era in atto la “guerra” di Amadei contro Vinicio e il suo amico Pesaola. I tifosi, subdorata l’ipotesi che il brasiliano venisse ceduto, issarono allo stadio un cartello che diceva: “Vendetevi l’anima, ma non Vinicio”. Ma ormai lo spogliatoio azzurro era un covo di malumori e di clan.
Il disastro delle quattro giornate iniziali di Frossi e il ritorno di Amadei sulla panchina azzurra, continuando la “guerra” a Vinicio, segnarono il campionato ’59-’60. L’ultimo squillo del brasiliano fu il gol della vittoria (2-1) contro la Juventus nella domenica in cui fu inaugurato il “San Paolo”, 6 dicembre 1959, 80mila spettatori, 70 milioni di incasso.
Aveva cominciato al Vomero segnando due gol al Torino, la sua prima partita, il primo gol in 40 secondi dalla palla al centro. Vinicio tocca ad Amadei, il “fornaretto” passa indietro a Castelli, il mediano lancia in avanti, Vinicio parte a razzo ed è sulla palla, travolge Grosso e Bearzot e, dal limite dell’area, fionda un missile sotto la traversa del portiere Rigamonti.
Quel gol fulmineo conquistò il cuore dei tifosi che si legarono profondamente a Vinicio per il suo impegno, il suo furore, i suoi gol e l’attaccamento alla maglia azzurra come pochi.
Lauro l’aveva preso dal Botafogo per 50 milioni, la metà di quanto aveva speso per Jeppson. Vinicio doveva andare alla Lazio, opzionato dal presidente Mario Vaselli, costruttore romano. Lauro, che era anche sindaco, convinse Vaselli a lasciare il giocatore al Napoli affidando al costruttore romano il rifacimento di Piazza Municipio. L’acquisto di Vinicio contribuì al successo elettorale del Comandante che raccolse 300mila preferenze alle elezioni amministrative del 1956, nella stagione in cui arrivò Vinicio (1955-56).
Poiché c’erano tre stranieri nel Napoli (Jeppson, Pesaola, Vinyei), e ne erano consentiti due, si tentò di trovare un parente italiano a Vinicio. Un parroco di Aversa scovò nella cittadina casertana una famiglia che aveva il cognome della madre di Vinicio, Amarante, e sostenne che una donna con quel nome, emigrata in Brasile, era la nonna del giocatore. Senza i documenti necessari, la parola del parroco valse zero. Lauro cedette Vinyei.
Luis Vinicio arrivò quando aveva 23 anni ed era una vera forza della natura. Poco brasiliano, cioè senza fronzoli, magie e colpi di tacco, ma centravanti all’europea. Si conquistò l’appellativo di “leone”. Già in Brasile era stato definito “au leau do Botafogo”.
Dopo le insistenze di Amadei con Lauro, Vinicio fu ceduto al Bologna in una scandalosa trattativa: il Napoli ebbe dal club felsineo Pivatelli e Mihalic e saldò il conto versando 122 milioni. Lauro promise lo scudetto prendendo anche Gratton dalla Fiorentina. Ma lo “squadrone” dello scudetto fallì. Peggio, il Napoli retrocesse in serie B.
Il legame sentimentale fra i tifosi azzurri e Vinicio si rinsaldò nelle stagioni da allenatore del brasiliano. La squadra aveva il suo carattere (lui glielo impose): impegno massimo, sacrificio, corsa, irriducibile fino al Novantesimo e oltre.
Un altro avvenimento avvicinò ancor di più Vinicio ai tifosi azzurri. La stagione 1956-’57 si concluse con un evento memorabile, il matrimonio di Vinicio nella basilica di San Francesco in Piazza Plebiscito, gremita di tifosi, Lauro compare d’anello dello sposo. Lei era un vecchio amore di Vinicio, Flora Aida Piccaglia, con nonni emiliani di Zocca. S’erano conosciuti in Brasile. Vinicio scese in tight da una Cadillac, Flora aveva tredici metri di velo. Su un cartello issato in piazza c’era scritto: “Sposi a Napoli, felici per sempre”.
Vinicio, in cinque campionati col Napoli, giocò 152 partite segnando 69 gol. Credo che, a parte Maradona, sia stato l’azzurro più amato dai tifosi.
MIMMO CARRATELLI

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