Tranquillo, presidente, ci abitueremo anche alle ragazze pon pon

Lei, presidente, le chiama cheerleaders. Per quelli come me, non all’avanguardia e non proiettato nel futuro come lei, restano le ragazze pon pon. Diciamolo, un’americanata. Ma l’antimperialismo non c’entra niente. C’entra, piuttosto, una cultura lontana anni luce dal calcio: uno sport europeo che in America non ha mai sfondato. E lei in questo è americano. […]

Lei, presidente, le chiama cheerleaders. Per quelli come me, non all’avanguardia e non proiettato nel futuro come lei, restano le ragazze pon pon. Diciamolo, un’americanata. Ma l’antimperialismo non c’entra niente. C’entra, piuttosto, una cultura lontana anni luce dal calcio: uno sport europeo che in America non ha mai sfondato. E lei in questo è americano. È chiaro, presidente: a lei il calcio non piace, non interessa. Non si ferma per strada a guardare i bambini giocare, non gliene frega nulla di uno stop, di un tunnel. Vabbè, ma queste cose le sappiamo già. Proprio per questo, peraltro, le sue doti di imprenditore vanno ulteriormente apprezzate. Riesce a fare impresa in un settore che non conosce e che non ama. È come se un astemio creasse una casa vinicola di successo.

Ed è questo il punto. Come in ogni ambito, quel che accomuna è la passione. E lei, presidente, in fondo è uno straniero del calcio. O meglio, sarebbe stato uno straniero vent’anni fa. Oggi, magari, gli stranieri siamo noi. Il suo obiettivo è un altro. La sua partita ideale ricalca quelle di baseball. La sua partita ideale dura quattro ore, magari con quattro tempi da 25 minuti ciascuno. E tra un tempo e l’altro tre esibizioni canore. Un grande show per famiglie. Proprio come negli incontri di baseball, dove – impensabile per noi calciofili – gli spettatori arrivano un’ora dopo l’inizio e magari vanno via quando il risultato è ancora in bilico. Mangiano i pop corn, bevono birra, fanno gli auguri sul video al loro bambino nel tripudio della folla, e poi tornano a casa. Certo, i loro stadi sono tenuti leggermente meglio, non vivono col patema d’animo di dover finire a Palermo per assistere alle partite di Champions, ma lo sappiamo che a lei questi dettagli infastidiscono.

Non c’è nulla di male, per carità. Semplicemente non è il calcio. Poi noi ci abituiamo a tutto, figuriamoci. Ci siamo abituati allo stacchetto musicale dopo il gol, allo speaker che grida il nome del calciatore che ha segnato, alle telecamere nello spogliatoio. E ad altre cose che adesso dimentico. Presto ci abitueremo anche alle ragazze pon pon, lo so (magari se mettesse anche i ragazzi pon pon sarebbe davvero un innovatore). In fondo, siamo rassegnati. Pur di continuare a vedere una parvenza di pallone sopporteremmo di tutto. Non ce ne voglia male, presidente, non è ingratitudine la nostra. Semplicemente, parliamo due lingue diverse. Ma lo sappiamo che ha ragione lei. Solo che a noi l’aereo che sorvolava il San Paolo con la scritta Amaro Ramazzotti piaceva. Siamo fatti così. Magari, però, un compromesso lo possiamo raggiungere: non ci tolga mai il caffè Borghetti. E noi siamo contenti.
Massimiliano Gallo

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