A PROPOSITO della vittoria del Napoli sulla Juventus, a Torino, domenica scorsa, ne abbiamo lette di tutti i colori. Dal sud più profondo all’estremo nord, un diluvio di iperboli ci ha sommersi. Napolissimo è stato il neologismo coniato da un giornale sportivo di Milano. Napoli, ‘nu babà, ha titolato un quotidiano romano. Fantanapoli, ha scritto il maggiore organo di notizie del Mezzogiorno; ed ha aggiunto, per sottolineare che il tripudio non era limitato al solo ambito locale: Da tutt’Italia: grazie, Napoli!.Titoli composti in corpi di insolite dimensioni, commosse ovazioni dirette alla Capitale del Sud, al suo nuovo splendore, alla sua ritrovata grandezza. Esaltati appelli alla sua bonomia, al suo ottimismo, alla sua simpatia, alla sua giocondità, al suo estro. Da troppo tempo, sembra di capire, Napoli sonnecchiava, schiacciata dai tanti suoi problemi: droga, camorra, sottosviluppo, immondizie, rapina edilizia, caos urbano.
Dal pomeriggio di domenica 10 novembre, l’ora della riscossa è suonata. Di colpo, abbiamo letto, è esploso un tornado. Ha già un nome come certi uragani del Pacifico. Si chiama Napoli. Se il club calcistico cittadino s’intitolasse L’Audace, Virtus o Rondinella, la trasposizione in termini civili, economici, politici di questa impresa sportiva sarebbe meno immediata. Così, invece, l’equivoco fra Napoli e il Napoli è automatico e fatale. Cuore di squadra e cuore di città diventano sinonimi. Per cui può accadere che qualcuno, di fronte a questa maiuscola prova di vitalità offerta da undici ragazzi in maglietta azzurra, si illuda che la questione meridionale sia stata risolta e archiviata. E che magari da oggi in poi, a partire dalla sconfitta della famiglia Agnelli, faccia la sua comparsa una lunga, penosa questione settentrionale. NAPOLI, capofila del Sud, allevierà il sottosviluppo settentrionale, offrirà un posto di lavoro alle turbe dei nordisti disoccupati, saprà sopportare con fair play il rimescolamento delle carte che ha portato proprio lei, la derelitta, al vertice dell’efficienza? Soprattutto, saprà essere clemente con gli sconfitti? In verità, lo stato d’animo che serpeggia fra gli antagonisti battuti autorizza qualche inquietudine. Il nord efficientista e plutocratico, ha scritto un quotidiano di Genova, cede alla forza degli eventi. Una dignitosa rassegnazione è d’obbligo. Perché a Torino non s’ è trattato soltanto di una partita propizia per la squadra azzurra. E’ la geografia che cambia. E di questa metamorfosi Napoli è l’ avamposto. Prepotentemente, avanza il centro-sud, insiste il quotidiano. Il rullo compressore dell’Italia media e bassa, messo in moto durante quei novanta minuti giocati al Comunale di Torino, potrebbe rivelarsi inesorabile. Ci mettono spesso e volentieri sotto, osserva ancora il giornale. I centrosudisti dominano ormai nella politica, nella burocrazia, nelle aule di Tribunale e nelle Università, nella Rai-tv, nei giornali. La più brillante scuola di giornalismo è quella napoletana. Siamo accerchiati, assaliti, battuti a domicilio nella vita sei giorni su sette: è perfettamente consequenziale che lo siamo ebdomadariamente anche nel calcio, nelle feste comandate. A un napoletano, che fa per giunta il giornalista, una simile gragnuola di riconoscimenti dovrebbe far piacere. Invece lo rattrista. Vi scorge una certa condiscendenza verso una plaga geografica diversa, un vezzeggiamento che nasconde antichi complessi di colpa. Non parlo tanto di chi, accennando all’invadenza dei meridionali nelle professioni liberali, sembra edificato e sbigottito insieme. Mi riferisco soprattutto a coloro, e sono tanti, che enfatizzano le attese messianiche del Sud in materia calcistica quasi che altre attese siano, da quelle parti, impossibili da nutrire o mal riposte: e in ciò sono aiutati da quello spirito di rinuncia che nel Mezzogiorno si annida atavicamente. E’ stata la nostra risposta all’acquisto dell’Alfa Sud, ha detto un operaio napoletano a un giornale, alludendo alla vittoria di Torino. Ognuno ha il suo tipo di rivalse. Napoli è amaro constatarlo non può permettersi che questa.
MI PIACEREBBE che il Napoli vincesse lo scudetto, ma penso alle conseguenze di questo evento sul piano del commento giornalistico. La naturale, legittima e fatalmente rumorosa soddisfazione dei napoletani appassionati di calcio verrà enfatizzata al massimo ai confini di un cordiale e benevolo razzismo. Temo soprattutto gli intellettuali, che vorranno vedere nelle inevitabili sarabande di clacson spiegati, bandiere sventolanti, putipù, tric-trac e apocalittici ingorghi di traffico, una prova tangibile della rinascita del Mezzogiorno. Prevedo lunghe serie di titoli osannanti, di articoli entusiastici, di esplosioni di affetto per Napoli che ha avuto, dopo tanti dolori, il suo riscatto. Mi sembra già di leggerli. E già mi opprime un senso preventivo di pena. D’altro canto, non è affatto detto che la squadra azzurra questo campionato lo faccia suo. Napoli e il Napoli è questo lo slogan che si sente ripetere in questi giorni dagli esponenti più responsabili della città e della squadra non devono illudersi, non devono esaltarsi, devono minimizzare. Sarebbe bene che gli altri italiani offrissero, in questo, la loro collaborazione. Senza fare della retorica per conto terzi.
Nello Ajello (la Repubblica 14 novembre 1986)