Il Prigioniero non aveva più neppure la forza di sollevare il capo. Gli mancava la forza nel fisico, provato com’era da giorni e giorni di prigionia ed atroci torture; ma soprattutto gli mancava la forza nella mente.
L’Inquisitore non gliene lasciava neppure una briciola. Lo sentì arrivare nella sala degli interrogatori, e un brivido lo scosse fino al midollo nel momento stesso in cui avvertì posarsi su di sé gli occhi d’acciaio del domenicano.
«Allora, messere», esordì dopo un silenzio che all’uomo incatenato parve lunghissimo, «avete finalmente deciso di porre fine alle vostre sofferenze? Abiurate le vostre oscene idee?»
«Io… Io… continuo a non capire a cosa vi riferiate… Quale sia l’accusa…». La voce del Prigioniero era ridotta a un patetico rantolo.
«Ah, maledetto cane infedele, non sapete quale sia l’accusa? Come vi permettete di offendere ancora una volta con la vostra sozzura morale questo pio Tribunale?», sbottò con violenza il più anziano dei due padri confortatori.
L’Inquisitore lo fulminò con lo sguardo, e lo ridusse ad un umiliato silenzio con la sua espressione carica d’ira. Passeggiando con le mani giunte dietro la schiena, dopo un lungo silenzio il domenicano tornò a parlare: «Messere, nelle scorse settimane questo Tribunale ha accertato che voi siete l’autore del libello intitolato Contra indignum allenatorem neapolitanum, cuius nomen est Mazarrius; o sto dicendo il falso?»
«No, no, dite il vero», rispose il Prigioniero con voce cavernosa e con una sorta di rantolo. «Dite il vero, ed anzi rivendico la scrittura di quel libello e tutto quanto vi ho sostenuto».
«Ah, questo è un interessante passo in avanti. Se ben capisco, state confessando di essere un eretico, e della peggior specie.»
«Eretico? Ma perché? Io… Io… Tifo per il Napoli, esattamente come tutti qui dentro…»
«Tifate per il Napoli, dite; e questo non farebbe di voi un eretico. Ma negate forse di aver messo in discussione il santissimo dogma della Difesa Una e Trina?»
«Certo, ho detto che se la difesa fosse a quattro forse qualche sofferenza ci sarebbe risparmiata, e qualche partita con le piccole la vinceremmo più facilmente…»
«Negate di aver messo in discussione la savia dottrina dei Titolarissimi e delle Riservissime?»
«No, non nego neppure questo…»
«E allora possiamo risparmiare tempo, poiché se non negate le due più blasfeme asserzioni del vostro immondo trattato, allora non negherete di certo tutti i corollari di quelle luride bestemmie. Il Sommo e Perfettissimo Presidente ed il suo Vicario in Terra Albertino il Lungimirante avrebbero dovuto acquistare rinforzi in difesa, e in particolare un giovane e promettente ragazzo di colore; il Magnifico Allenatore dovrebbe schierare qualche giovane e lanciarlo in Prima Squadra insieme ai Titolarissimi; il Perfettissimo Gioco della nostra veneranda Squadra non dovrebbe basarsi solo sulle fasce e sulle ripartenze; il Capitano, il cardine della nostra fede, la colonna portante della Difesa Una e Trina, dovrebbe addirittura abbandonare la nostra adorata Squadra e lasciare il proprio meritatissimo posto a quel giovane argentino, che avete inopinatamente sobillato alla rivolta».
Con le forze che gli stavano venendo meno del tutto, e con un sudore freddo che lo faceva rabbrividire violentemente, vedendosi accusato nel cuore stesso del suo pensiero, il Prigioniero riuscì solo a balbettare una serie di «Non nego… Non nego…».
L’Inquisitore non fece nulla per nascondere il sorriso di trionfo che gli si era aperto sul viso arcigno, e a bella posta si voltò verso i padri confortatori, uomini pii ma inquisitori dai metodi arcaici e superati, che troppo spesso nelle settimane precedenti lo avevano esortato ad usare il fuoco per strappare all’eretico una confessione che, quel giorno, stava rendendo spontaneamente, e che suonava come una resa su tutta la linea.
«E allora, messere, sappiate che avete firmato la condanna della vostra indegna anima. Per voi, nessuna possibilità di redenzione. Non vi è neppure bisogno di discutere delle assurde e pericolose tesi che, non incluse nell’immondo scritto di cui rivendicate con orgoglio la paternità, avete diffuso nei mesi scorsi, osando predicare nelle piazze e nei mercati al volubile e stolto popolino: le tesi secondo le quali il turnover in Europa League sarebbe solo una follia, perché una competizione europea andrebbe onorata sempre e comunque, e perché i giovani dovrebbero giocare di volta in volta con i Titolarissimi, affinché possano davvero crescere e diventare un patrimonio per il futuro.
La vostra sozzura morale, le vostre perversioni intellettuali e la vostra tracotanza verranno punite, come è giusto che sia, dal braccio secolare: salirete oggi stesso sul rogo che monderà questa terra della vostra laida blasfemia. Possa la vostra giusta morte essere d’esempio a tutti gli empi che osino condividere anche solo una delle vostre mostruose idee».
Il Prigioniero non aveva neppure più lacrime da versare. Biascicando le parole tra violenti colpi di tosse, riuscì solo a dire: «Ma io volevo solo fare il bene della nostra Squadra… La Squadra di tutti… Le mie idee erano volte al bene comune… Gli allenatori passano, la fede nella Squadra resta…».
Poi cadde svenuto, e non poté udire le parole del santo Inquisitore, che vibravano di sdegno e di una violenza troppo a lungo repressa: «Ah, cane eretico… Voi avete osato pensare! Non c’è peccato più grave! Se tutti iniziassero a pensare, la Verità verrebbe messa in discussione, e si finirebbe con l’affermare che esistono più verità. Questo sconvolgerebbe l’ordine con cui la Santa SSC Napoli e la Sacra Inquisizione garantiscono che questo misero mondo non sia in balìa del caos e dell’anarchia. La Verità è una sola, ed è la nostra!».
Quando rinvenne, il Prigioniero si ritrovò legato alla pira, le mani e le caviglie strette da nodi crudeli, sul Lungomare Liberato. Una folla vociante e fremente si assiepava ai suoi piedi, ansiosa di assistere al truce spettacolo del quale sarebbe stato di lì a poco l’unico protagonista. In mezzo a migliaia di facce sconosciute, intravide i visi addolorati dei suoi compagni di mille battaglie: quelli che non la pensavano come lui avevano un’espressione addolorata, e come di muto rimprovero nei suoi confronti; quelli che invece condividevano il suo pensiero erano pallidi ed atterriti.
Le prime spire di fumo acre iniziarono ad alzarsi dalla base della catasta di legno che entro poco gli avrebbe riservato immani sofferenze. Sarebbe morto da traditore; sarebbe morto senza aver mai visto uno scudetto; sarebbe morto senza aver visto in atto nessuna delle proprie idee.
Eppure, nel profondo, una lucida consapevolezza gli consentiva di mantenere fiero il suo sguardo e di non pentirsi di alcuno dei suoi atti: sapeva che un giorno il suo pensiero sarebbe stato riabilitato; sapeva che un giorno, magari anche assai remoto nel tempo, anche una sola delle sue idee sarebbe stata applicata.
E allora sì che sarebbero arrivati i trionfi per la sua amata Squadra, per quella Squadra per cui stava morendo. E allora sì che avrebbe potuto esultare, e ritenersi finalmente in pace con la sua vita terrena, nel luogo beato e senza tempo riservato ai puri e ai giusti.
Andrea Manzi
Liberamente (e senza scrupolo alcuno) ispirato al ciclo di romanzi di Valerio Evangelisti dedicato all’inquisitore Nicolas Eymerich.