Il Napolista, De Laurentiis ed io

Domenica sera, complice Trenitalia, sono arrivato allo stadio in ritardo rispetto alle mie abitudini. Praticamente a ridosso della partita. E quindi ho dovuto rendere fugace il mio saluto al gruppo della Nisida, malati di calcio di cui fanno parte Claudio Botti e il vate Fabbrini, con cui condivido quasi sempre il pre-partita.Pochi minuti, quindi, nel […]

Domenica sera, complice Trenitalia, sono arrivato allo stadio in ritardo rispetto alle mie abitudini. Praticamente a ridosso della partita. E quindi ho dovuto rendere fugace il mio saluto al gruppo della Nisida, malati di calcio di cui fanno parte Claudio Botti e il vate Fabbrini, con cui condivido quasi sempre il pre-partita.Pochi minuti, quindi, nel corso dei quali Botti ha bonariamente ma decisamente sottolineato la virata del Napolista su posizioni realiste. “Sei diventato delaurentisiano e mazzariano, insomma hai trasformato il Napolista in Napoliforever.com”. Questo il messaggio del napolista doc Botti, tra il serio e il faceto, sui gradoni del San Paolo. Davanti ad autorevoli esponenti del gruppo “quelli della Nisida”. Alcuni dei quali – va detto – hanno invece espresso il loro vivo apprezzamento per il “cambio di linea”, eh eh…

Oggi, in calce all’articolo qui ricopiato di Antonio Corbo, sull’affaire giardinieri del San Paolo, è giunto il commento di Antonio Patierno. Che, dopo aver letto alcuni miei commenti critici nei confronti del presidente, col suo consueto garbo ma senza sconti, non ha mancato di sottolineare il mio rientro nei ranghi dopo gli scritti “eretici” dei giorni scorsi. Apro una piccola parentesi. Antonio Patierno è una di quelle persone che sento con gli occhi ogni qual volta scrivo sul Napolista. So benissimo quando un mio articolo provocherà il suo disappunto e a volte sorrido da solo pensando a quanto pagherei per avere un suo commento a caldo privo di diplomazia.

Insomma, la domanda è: ma che è successo a Max? Una risposta la debbo. Niente, direi. Probabilmente, per dirla alla Nanni Moretti, sono talmente abituato a stare con una minoranza di persone che, improvvisamente catapultato sul treno della maggioranza, mi sono trovato a disagio. E quindi, trovando occupati i posti dalla parte della ragione…

Mi è chiaro che De Laurentiis quest’anno ha intascato tanto e speso poco. Mi è chiarissimo. Oggi me lo ricordano, incazzati, anche gli aureliani più ortodossi. Mi è altrettanto chiaro, però, che per De Laurentiis il Napoli è un’impresa. E nulla più. Con un conto economico e un bilancio. Impresa che frutta, molto, e che sta sul mercato in maniera più che dignitosa. E mi sono tenuto basso nel giudizio. Come ha più volte scritto il rettore Trombetti, De Laurentiis ha capito prima di altri dove stesse andando il calcio. Non è più l’epoca dei Ferlaino, dei Sensi. E, oserei dire, dei Berlusconi e dei Moratti. Quattro presidenti tifosi, ciascuno a modo proprio, ma quattro presidenti tifosi. De Laurentiis non lo è, non lo è mai stato, e non lo ha mai nascosto (un discorso a parte meriterebbe la Juventus, unica a capire l’importanza di avere uno stadio proprio).

Proprio ieri, ai microfoni di Sky, Branca si vantava di aver tagliato di 40 milioni il monte ingaggi dei nerazzurri. Il giorno dopo le tre scoppole prese dalla Roma!!! “Perfetto per De Laurentiis”, mi sono detto. E all’Inter sono finiti Fassone (ve lo ricordate Fassone?) e Gargano (che Stramaccioni domenica ha messo a fare il regista, il regista!). Ho riso come un matto.

Oggi Giulio Spadetta – direi degno rappresentante della vecchia guardia napolista – ha scritto in un commento: “Il Napoli ottiene decine di milioni dai diritti televisivi. Quei soldi non vengono regalati a casaccio, ma assegnati in base al numero di tifosi, stabilito da apposite ricerche di mercato. I soldi dei biglietti finiscono nelle casse della società. De Laurentiis non ha mai speso un centesimo di tasca sua, non ha mai investito nient’altro che i proventi derivanti dalla nostra passione. Gestisce in pratica i soldi che noi sganciamo, l’obolo che versiamo per “curare” una malattia dalla quale non vogliamo guarire”.

Il punto direi che è questo. E, non a caso, lo scorso inverno il Napolista intraprese una impopolare, sicuramente dura e fortemente minoritaria campagna contro il caro-biglietti di Napoli-Chelsea. Allora in pochi ci seguirono. Perché il Napoli era forte e perché in tanti erano convinti che un’occasione così non sarebbe più ricapitata. Ci accusarono di tutto. Chi allora spese 100 euro per i distinti oggi è in prima fila a contestare, vuole sapere dove sono finiti i 30 milioni di Lavezzi, i nostri soldi del Belice. Io non mi sono meravigliato. Sono vaccinato. E, lo ammetto, godo pure un po’ oggi a sentire le proteste. Soprattutto di chi fino a ieri mostrava eterna gratitudine ad Aurelio.

De Laurentiis continua a non piacermi. Ma di lui apprezzo la schiettezza e l’onestà intellettuale. Nei suoi occhi brilla l’immagine dei dollaroni. Non mi fa più specie. Il suo gioco mi è sin troppo chiaro. Siamo giunti al punto in cui dovrei fare una scelta, come scrive Spadetta. Ci ho pensato, ma io non voglio guarire. Alla mia droga non voglio rinunciare.

Non per questo divento fan di De Laurentiis, ci mancherebbe. Il Napolista è nato contro il logorio del calcio moderno, un Cynar del pallone. E tale resterà (almeno nelle intenzioni). Così come, ovviamente, resterà un luogo dove ogni tesi sarà rappresentata. Ma io sono un provocatore nato, esco pazzo per la provocazione. E mi piace troppo l’idea che senza il tanto amato Lavezzi noi quest’anno possiamo fare bene (non nomino parole invano). All’inizio dell’anno avevo pensato di concludere ogni articolo con la dicitura “Lavezzi è mezza squadra”, frase che mi ha accompagnato negli ultimi cinque anni. Poi ho pensato di desistere per scaramanzia.

Il rischio di naufragare è alto, lo ammetto. Durante il primo tempo di Napoli-Fiorentina ero sconfortato. Nell’intervallo sono dovuto andare a cercare solidarietà tra gli irriducibili della Nisida sotto lo sguardo eloquente di Botti. Però poi che goduria al gol di Hamsik alzarsi sul sediolino e incrociare gli irriducibili con lo sguardo.

Massimiliano Gallo

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