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Perché il Palazzo ha paura di De Laurentiis

La partita di Supercoppa di Lega giocata a Pechino e la reazione del Napoli alla «gestione arbitrale» della gara, con la conseguente scelta di non partecipare alla premiazione, consentono alcune riflessioni che vanno ben al di là dei soli confini del calcio. La verità è che il «personaggio» De Laurentiis risulta anomalo per una serie di motivi che proviamo ad analizzare.

Innanzitutto ha acquisito il Napoli senza provenire dal mondo del calcio e dunque è stato guardato da subito con sospetto da un ambiente che, diciamolo, è una «compagnia di giro», in cui ciascuno conosce fatti (e misfatti) dell’altro. Poi ha incominciato a fare (ed a praticare) discorsi imprenditoriali che hanno portato il Napoli ad essere una società esemplare sul piano imprenditoriale e dell’attenzione al bilancio; sempre nella logica dell’imprenditore De Laurentiis, se si accetta una regola va osservata e non si tratta di generica lealtà dei comportamenti ma di orizzonte d’impresa: chi fa impresa deve conoscere il quadro delle regole e dei modelli, così da fare le sue scelte.

Inoltre in un ambiente abituato alla conservazione dello status quo, De Laurentiis propone prospettive di apertura commerciale miranti ad un’effettiva «liberalizzazione» del calcio italiano. Ma tutto ciò sarebbe nulla per il calcio, per come lo conosciamo, cioè fatto di presidenti «conniventi», di procuratori ex pizzaioli, di giocatori mercenari, da sempre abituato all’ipocrisia, alla doppia morale, al presidente squalificato che fa le trattative di mercato, all’allenatore sospeso che allena comunque! In fondo questo mondo ha già metabolizzato altre anomalie, riuscendo a «riassorbire», ad esempio, Della Valle, «inducendolo» a farsi parte del sistema.

Il nodo stavolta è un altro: De Laurentiis va al cuore della questione quando discorre dell’anomalia di un’attività di impresa, quella dello spettacolo calcistico, in cui gli imprenditori investono capitali e devono fare i conti con soggetti terzi, addirittura di diritto pubblico, come la Figc, che fissano le regole, possono «interferire» con la riuscita dell’investimento: è come se l’Antitrust non si limitasse a regolare i mercati, ma i suoi funzionari, ogni giorno, potessero intervenire sull’esito delle gare d’appalto. Ed ecco perché agli occhi del Palazzo De Laurentiis è ancora più pericoloso e perché ora inizia la fase più difficile. Si tratta di vincere una sfida epocale, senza, tuttavia, disporre di giornali, televisioni e, per di più, gestendo una società del Sud, che aspira ad essere riferimento leading. È una bella sfida, in cui non si dovrebbe «tifare» ma sostenere proposte, operazioni di trasparenza e chiarezza.

Salvatore Sica, Ordinario di Diritto privato comparato Università di Salerno

Direttore dell’Osservatorio Disco (Diritto- Sport – Comunicazione  (tratto dal Corriere del Mezzogiorno)

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