Aurelio hai sbagliato con la premiazione, sei passato più come lagnoso che come derubato
Il Napoli a Pechino mi sembra esca sconfitto soprattutto sul piano mediatico. Cioè il motivo per cui si era andati lì. Perché alla fine il messaggio che passa, veicolato dai mass-media nostrani – sempre indulgenti coi potenti e inflessibili coi meno forti – è di generale condanna per il “vittimismo” della mancata partecipazione alla premiazione, […]
Il Napoli a Pechino mi sembra esca sconfitto soprattutto sul piano mediatico. Cioè il motivo per cui si era andati lì. Perché alla fine il messaggio che passa, veicolato dai mass-media nostrani – sempre indulgenti coi potenti e inflessibili coi meno forti – è di generale condanna per il “vittimismo” della mancata partecipazione alla premiazione, non per lo show dell’arbitro che ha deciso, di fatto, il match.
Intendiamoci, un arbitro può sbagliare, un rigore dubbio si puoi dare o meno senza gridare al complotto, ma qui non dello scempio arbitrale vorrei soffermarmi quanto della percezione che, fuori dall’ambiente “ovattato” di Napoli e dei media “amici”, assumono le decisioni della società. La forma alle volte è sostanza. La sostanza è che il Napoli ha subito un furto talmente enorme da far sgranare gli occhi. La forma è che non è riuscito a farlo risaltare; anzi, saltando il cerimoniale, la società ha offerto un assist perfetto a tutti quei media (il 75% almeno, a naso) che non vedevano l’ora di trovare un appiglio per sottacere la rapina.
Basta aprire il Corriere della Sera di oggi. Illeggibile. Con tutta la buona volontà. Manco l’ufficio stampa della famiglia Agnelli. Si inizia dalla “sceneggiata del Napoli”, mica dagli errori dell’arbitro. Si prosegue con un “atteggiamento senza precedenti” (falso, la stessa Juve disertò nel ’98), non dal 9 contro 11 dei supplementari. Si prosegue con il “crescendo stonato” di DeLa, sotterraneamente contrapposto allo stile fulgido di presidenti che non riconoscono nemmeno le sentenze della magistratura, se non gli piacciono.
Eh già, la forma (lo sgarbo istituzionale) è più grave della sostanza, ovvio no? L’analisi degli errori arriva molto dopo (ovviamente con interprestazione discutibile, giusto per dar forza all’assunto di partenza: “E che sarà mai successo, per giustificare sto po’ po’ di reazione? Niente di che, mo’ ve lo racconto io perché ‘sti rompiballe protestano”).
Si potrebbe continuare, con altri esempi, ma il dato è uno: i torti subìti vengono derubricati a mero pretesto per “fare ammuina” da parte di chi, con poco spirito olimpico, non accetta la sconfitta. E giù sermoni dei più ascoltati opinionisti di casa nostra, per tre/quarti Juve-Milan-Inter-centrici, su radio, web, tv, giornali. Sulla prestazione della squadra, sulle scelte dell’allenatore, sull’arbitaggio (e sull’italica mentalità di “essere sempre proni coi potenti”) si può discutere. Ma mediaticamente, almeno contro le “tre Genoveffe” che trovano sempre una mano tesa nei momenti di difficoltà, siamo ancora molto deboli. La scelta di non partecipare alla premiazione, condivisibile a caldo per quel senso di “presa in giro” che il presidente ha rimarcato, mi pare sbagliata, a mente fredda, per l’effetto finale che ha. Mette in ombra le nostre (molte) ragioni e stigmatizza i nostri (pochi) torti. Un’altra presa in giro, la seconda.
Vittorio Eboli