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Il mio regalo per te, Carratelli. Buon compleanno

Dico io, oggi è il tuo compleanno e tu avrai un sacco di cose da fare, lo so. Rispondere al telefono, per esempio. Sai quanti vorranno farti gli auguri, oggi? Eccheccazz, Mimmo, io detesto il telefono! Non ti chiamo, piuttosto ti scrivo, che è così che ci siamo conosciuti, no? E allora, pensa che bello. Io mo ti scrivo e prendiamo un appuntamento. Tipo che ti vengo a prendere e ci facciamo una passeggiata a piedi per tutta la città e poi, quando siamo stanchi, mettiamo le ali ai piedi della fantasia e ci lasciamo trasportare. Potremmo cominciare dal Vomero, per esempio. Potrei portarti un cappuccino in un bicchiere di plastica e una treccia del bar Salvo e potremmo sederci sulle panchine sotto al Collana. Pensa che bello, sorseggiare e mordicchiare mentre mi racconti di tutti i giocatori passati di là. No, non ti ci porto sul campo, che l’erba neppure esiste quasi più, lo guardiamo da fuori. Poi ti porto a casa mia e ti faccio vedere dove ho scritto le cose che ti sono piaciute tanto ed il balcone di cui mi sono innamorata quando l’ho scelta. Poi via, che il tempo è poco. Ce ne andiamo nei vicoletti sperduti, a guardare le vecchine ai balconi, nel cuore di Napoli. I vicoli di Passione, il film che ti è piaciuto tanto. Ci mettiamo a camminare come turisti, tu mi racconti degli angoli di cui io fantastico ed io ti racconto ciò che vedo, come fossi un foglio bianco. Andiamo a Santa Lucia e ci sediamo sul muretto del lungomare a guardare l’azzurro del cielo e i gabbiani sullo sfondo del castello. Voliamo a San Martino ed esploriamo tutta la città scegliendo il posto successivo. A Marechiaro, scendiamo fino agli scogli e ti faccio vedere da dove mi tuffavo da bambina. Posillipo, mi insegni ad amarla come non ho mai fatto finora. Coroglio, a guardare le rovine dell’Italsider dall’alto. Voliamo su case, vicoli e palazzi e ci dimentichiamo del traffico, della monnezza, dei libri scritti sulla nostra città. Tu ti porti dietro i libri di Ghirelli e mi leggi qualche passo ogni tanto, insegnandomi qualcosa che non so. Parliamo di Diego, Vinicio, del Petisso, del tango argentino e delle suggestioni brasiliane, di quei riccioli che forse torneranno. Passiamo per Pozzuoli, per l’isolotto di San Martino, una puntatina a Miseno, ci sediamo sulla sabbia con i piedi scalzi a sentirne il calore in superficie ed il fresco sotto. Pranziamo da qualche parte all’aperto, tu e il tuo sigaro, io e il mio quaderno. Lasciami prendere appunti, che i ricordi vanno intrappolati per farne quadri appena si può. Ce ne andiamo a San Lorenzo, dove ho imparato a dattilografare, nel vicolo delle suore di Madre Teresa di Calcutta, che sono state il mio primo articolo per un giornale. In villa comunale, di cui studiai tutte le fontane per un improbabile mensile di cui non ricordo neppure il nome. Ti racconto dei Piccolomini, di quando passavo giornate intere in archivio a scoprire quante volte facevano pipì e a come una donna sola riuscì a salvare il patrimonio da un marito sconsiderato donandolo alle suore. Ti racconto delle mie trasferte a Siena, che conosco così bene, delle sere in albergo a mangiare cantucci bagnati nel vin santo solo per amor della ricerca e della scrittura. Ce ne andiamo a piazza Mercato, a ricordare il 1799. Mi descrivi Eleonora e io ti dico quanto mi ha sempre affascinata quella donna lì. Ti racconto della prima volta che vidi l’incendio del campanile del Carmine ed i dieci anni in cui ho vissuto lì, tutto quello che mi hanno insegnato. Poi voliamo a Sorrento, a respirare l’odore dei limoni. Approdiamo a Capri, L’Isola su cui mi hai accettata come navigante del mare che ami tanto. Passiamo per Ischia, che mi rassicura solo a sentirne l’aria sul viso, ti racconto di quando presi una storta per scalare l’Epomeo. Che importa se siamo stanchi, Mimmo? Ci aiutiamo con la fantasia. Ci fermiamo e ci rimettiamo in moto. Porto con me una bottiglia di qualcosa di buono, che non sia acqua, che non ci abbevera quella cosa là. Andiamo a Fuorigrotta e ti racconto cosa è diventata. Quello che vedo ogni volta che vado allo stadio, quello che sento, tanto, lo sai già. Ci entriamo al San Paolo, Mimmo, che dici? Di giorno, come feci l’anno scorso il 10 maggio. Tu ed io a camminare su quel prato. Ci fermiamo al centro del campo e ci sediamo per terra, poi andiamo a metterci in panchina e ridiamo degli errori e tu mi disegni per terra gli schemi e i volti del passato. Saliamo in tribuna stampa, ospiti stranieri, e ci guardiamo intorno nel vuoto che c’è. Guardiamo tutto lo stadio da lassù, poi passiamo nelle curve, ce ne appropriamo tutti e due. E mentre studio i sediolini, ti descrivo le facce che immagino lì in piedi, gli striscioni che urlano vendetta, quelli che ancora non sono mai stati scritti. Cantiamo il nostro coro, tu ed io, Mimmo, che ne abbiamo fatto un libro. Lo intoniamo a bassa voce e poi ci mettiamo ad urlarlo come bambini. Perché in fondo io con te passerei una giornata da neonata. Mi piacerebbe nascere davanti ai tuoi occhi e farti vedere come cresco bene soltanto ascoltandoti parlare. Poi di sera, su un terrazzo sul mare, tu, io e il Martire, seduti a un tavolino a lume di candela, con una tovaglia modesta ed una brocca di vino bianco che si staglia contro la luna, a parlare dei bambini, del sole, del mare al tramonto, di quello che è stato e di quel che sarà. Un po’ di pesce, mangiare con le mani, pulirsi la bocca ridendo stravaccati nell’intimità. Guardare i gatti aggirarsi ai nostri piedi aspettando quel che sarà. E, come i gatti, allungarci sereni e placidi, accoccolarci acciambellati e restare là. Buon compleanno, Mimmo, di cuore. Una piccola roccia accanto al mare. Ilaria Puglia

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