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Perdonate, ma io non ce la faccio a dire grazie lo stesso

No, io non ce la faccio a dire grazie lo stesso. Va bene, la Champions è stata un’avventura grandiosa, e queste emozioni ce le porteremo per sempre dentro. Ma ci voleva così poco, ancora, per continuare a sognare. Davvero poco. Invece siamo costretti a piangere per un’eliminazione che brucia. Brucia come quando all’università ti facevano una domanda all’esame e tu ricordavi la risposta soltanto dopo. A esame finito.A Londra il Napoli è arrivato preparato e, secondo me, più forte. Ma ha dimenticato parecchie risposte. Ha dimenticato che la vecchia guardia dei Blues si giocava tutto, e sarebbe stata una battaglia. Ha dimenticato che gli inglesi potevano far male solo così, con cross, soprattutto su palla da fermo, e colpi di testa.

Colpevolmente, il Napoli non è sceso in campo con il coltello tra i denti. E non ha risposto con contromisure tattiche adeguate, magari cercando di limitare i traversoni e di non commettere falli stupidi nei pressi dell’area (nonostante la premonitrice tripletta di Larrivey in Napoli-Cagliari). Durante il match gli azzurri non sono stati in grado di correre ai ripari, soprattutto la difesa.

Ricordo Bruscolotti raccontare di come, per non far saltare gli avversari, li inchiodasse a terra con i suoi piedi sui loro: la storia del calcio è piena di coraggiosi difensori che si arrabattano alla meglio per annullare talentuosi attaccanti. E spesso ci riescono.

I nostri difensori non lo hanno fatto e, addirittura, in alcuni casi hanno facilitato il compito ai Blues, vedi l’ennesimo regalo di Hugo Campagnaro agli avversari e il solito salto a braccia alzate di Dossena. Si sono rassegnati a saltare dietro le spalle di Drogba e degli altri, arrivando sempre secondi. Può succedere che ti trovi davanti qualcuno più forte di te. Ma se vedi che un avversario ti sovrasta, se stai rischiando di perdere un traguardo così importante, le devi provare tutte. La devi sentire la spinta una città intera che ti puntella il cuore e le gambe, devi andare fuori giri fino a sentirti scoppiare. Alzi la linea difensiva, visto che palla a terra non sembrano pericolosi; così magari la palla di testa la colpiscono dieci metri più indietro. Corri di più, ringhi, fai il duro, intimidisci, colpisci con furbizia. E quando stai vincendo traccheggi, fai possesso palla, perdi tempo, simuli se necessario, come ha fatto Drogba.

Nel calcio conta soltanto vincere, alla faccia di quello che pensano le anime pie.

Nessuno, se non noi, ricorderà l’occhio furbo del centravanti del Chelsea che guarda l’arbitro di nascosto per verificare se la sua recita sia riuscita bene o meno (e Maggio, che s’era fatto male davvero, è rimasto incredibilmente in piedi facendoci prendere una rete). Di Drogba sarà invece ricordato il gol e l’ardore agonistico messo sul campo dal primo all’ultimo minuto.

Per favore, nessuno parli di inesperienza dei nostri: giocano nella serie A italiana e, in tanti, nelle rispettive nazionali, mica all’oratorio?

La differenza, ieri, l’ha fatta la voglia di vincere a tutti i costi. Campioni affermati e attempati, quelli del Chelsea, l’hanno messa in campo, ricorrendo a tutti i mezzi leciti e meno leciti; campioni in costruzione, i nostri, semplicemente no.

Mazzarri aveva chiesto undici leoni, nella conferenza stampa pre gara. Beh, io proprio non li ho visti: il Napoli ieri ha dimenticato anche che per raggiungere traguardi importanti bisogna lottare alla morte, superando i propri limiti. Alla fine, a questi livelli, è la cattiveria agonistica l’arma che fa davvero la differenza, perché ti toglie anche tensione e paura. Ci vogliono le palle, ecco. Soprattutto se hai un pacchetto difensivo da brividi come quello azzurro (a proposito, al reparto va messa mano con urgenza, cominciando a inserire con continuità Britos per verificare se può dare garanzie per i prossimi anni). Come faccio a essere soddisfatto di essere uscito agli ottavi contro una squadra di qualità, certo, ma decrepita e in evidente crisi di gioco, quando ai quarti accedono compagini come il Marsiglia e l’Apoel? Doveva andare per forza così? Siamo davvero così poco ambiziosi e così tanto fatalisti, noi tifosi del Napoli? Non mi piacciono i buonismi. Adoro i nostri calciatori dal primo all’ultimo, ma ieri hanno fatto a pezzi un sogno perché non hanno lottato abbastanza. E non mi va di ringraziare proprio nessuno, oggi. A tifare si riprende domenica, dal primo al novantesimo minuto. Come sempre. Ma ora no, ora è inutile. Siamo casa o al lavoro, non allo stadio, e ci prenderebbero per matti. Ora si rimugina sulla sconfitta. Ancora e ancora. E si soffre maledettamente.

Giovanni Brancaccio

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