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Il Napolista nacque come un bar sport d’élite

Essere figli di comunisti a Napoli negli anni Settanta aveva i suoi vantaggi. Con un padre giornalista all’Unità (la metalmeccanica era la mamma) si andava allo stadio gratis: non per altro, ma perché la gran parte dei colleghi, ops compagni, non si sarebbe mai piegata a partecipare a quel rito collettivo che ottenebrava le coscienze. E allora la tessera Napoli del quotidiano col bollino rosso era sempre a disposizione. Ogni domenica un’emozione nuova.Ogni domenica quelle scale fatte di corsa per poi restare senza fiato davanti all’immenso prato verde, voltarsi piano piano e osservare tutte quelle persone lì per lo stesso motivo. Anni calcisticamente bui, da Stanzione a Frappampina, ma poco importa. Poi arrivò Lui. Slanciato, biondo e con le ali, come lo ha descritto Maurizio de Giovanni. Il suo acquisto fu annunciato una sera d’estate dell’1984. Luigi Compagnone, sulla sua terrazza a Monte di Dio, sembrava un bambino.
E sì, perché essere figli di comunisti a Napoli negli anni Settanta significava anche avere dimestichezza con filosofi, scrittori, politici; confrontarsi precocemente col fujtevenne di Eduardo e quelle interminabili discussioni su Napoli metropoli europea, come diceva Maurizio Valenzi. Ho capito solo molti anni dopo il perché di quelle più o meno bonarie pressioni a lasciare la città. Si rifanno vive nella mia mente a ogni ritorno. Da emigrante. La gran parte delle volte proprio per risalire quelle scale del San Paolo, per provare ancora a sentirmi parte integrante della città. Quella maglia azzurra, in fondo, a questo serve. A non farmi sentire in trasferta.
Questo sarà il Napolista: il pretesto per mantenere vivo un amore. E l’illusione di non aver del tutto disertato.

Scrissi questo editoriale il 27 marzo di due anni fa per annunciare la nascita del Napolista. I commenti sono andati perduti ed è ancora la tristezza più grande. Ricordo che nel comunicato parlammo di bar sport d’élite. Questo doveva essere il Napolista (ma non con una connotazione politica, anche se il mio editoriale è eloquente) che nel corso del tempo si è trasformato, secondo me smarrendo lo snobismo tipico del Riformista e mettendo forse troppo le mani in pasta. La verità è che il discrimine è su Napoli, c’è poco da fare. Ed è snob e persino sbagliato pontificare su una città avendola lasciata e, in fondo, screditare chi ci è rimasto. Tutte le discussioni, secondo me, parlano di questo.
L’ultima è sull’articolo di Maurelli e, soprattutto, sui suoi successivi commenti. Premesso che, come ha scritto qualcuno in un commento, non ho mai visto un allenatore squalificato fare la corsa per farsi intervistare, il Napolista è evidentemente un luogo altro rispetto ai siti sulla nostra squadra, forse peggiore, ma qui, oltre ad articoli di tifosi ortodossi (peraltro ben rappresentati), ce ne sono anche altri con una diversa visione del tifo, del modo di intendere la passione azzurra. Qui se De Laurentiis dice che a Napoli non funziona un cazzo ne scriviamo per giorni, mentre altrove non si trova una riga. Questo siamo. E lamentarsi è come andare a vedere un film di Bergman e sbuffare perché non si ride, oppure – se preferite – andare a vedere un porno e attendersi la battuta alla Woody Allen.
Nella risposta che tanto ha fatto discutere, Maurelli ha tracciato i confini e le battaglie di questo sito (mentre vi siete soffermati solo sulle menti fini) e la sua frase l’ho messa al posto di Siani (che ovviamente tornerà). Chissà, probabilmente siamo cresciuti troppo. E tutti non ci stiamo. Può darsi. E non c’è nulla di male, del resto. Qui ci siamo sempre divertiti essendo noi stessi, se volete seguirci noi siamo contenti, molto contenti, ma non abbiamo la pretesa di piacere a tutti. Per noi non è un lavoro (guadagniamo facendo altro e allo stadio, quando andiamo, paghiamo). È solo un divertimento.

Massimiliano Gallo

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