Arriva a casa mia dopo il lavoro, concentrato, contento e frettoloso. Bisogna andare allo stadio tutti insieme, una sola auto, tre biglietti e tante sane abitudini da non intaccare con la sua presenza. Tanti riti a cui lui assiste da spettatore curioso e anche un po’ divertito.
Nel tragitto in auto spiega che non ha trovato il biglietto per il Bologna e quindi non ha potuto beneficiare del “prendi 2 paghi 1” inventato dal Presidente, e questo gli fa anche più onore. Tanto che quando chiede, quasi spaventato dalla risposta, se è più occasionale lui e uno che si va a vedere il Bayern, noi non abbiamo dubbi. Lo salviamo e lo assolviamo dall’ingenuità. Non faremmo mai partecipare ai nostri benedetti riti scaramantici un’occasionale qualunque! Che diamine!
Arriviamo allo stadio dopo una telefonata camomilla di un amico che ci avvertiva di uno stadio semivuoto, senza fila ai cancelli e senza problemi di traffico. Tutto liscio. Il ritardo dal lavoro non ha intaccato la tabella di marcia. Entriamo senza sussulti e lui varca finalmente il nostro settore della curva B. Manca allo stadio da un bel po’, chiede se “Oj vita mia” la si mette a tutte le vittorie o solo quelle più importanti e/o sofferte.
E sorride.
Sorride tanto, si guarda intorno, credo gli piaccia il clima del nostro gruppo. Ci salutiamo abbracciandoci, non ci vediamo da parecchio tempo. Commentiamo l’assenza di troppi di noi, presentiamo il nuovo arrivato. Lui fa foto a noi, a lui con noi. Non allo stadio, almeno non sembra. Insomma lui è felice di essere lì, nel tempio azzurro. Ma è soprattutto felice di essere lì con noi.
Si è nettamente guadagnato il panino che gli ho preparato. Mi chiede quando mangiarlo. Vuole mangiarlo con me. Gli insegniamo che il panino non va mai mangiato nell’intervallo, anche se questa volta anche io ci stavo cascando per mancanza di fame. Ma un quarto d’ora prima del fischio d’inizio decidiamo di rispettare il manuale del buon tifoso e addentiamo la cena. Io senza fame, ma con tanta scaramanzia. Lui sempre sorridendo, consapevole che stava aiutando una povera malata d’azzurro. E perché non voleva portare sulla coscienza una tragedia.
Partecipa alla conversazione, ma senza entrarci davvero fino in fondo. Guarda il riscaldamento, ma con attenzione da teatro più che da stadio. Poche battute, pochi commenti tecnici, tanti sorrisi.
“Gli sta piacendo” penso.
Poi la partita. Si canta, si sostiene, si urla, s’impreca, si bestemmia, si incita, si guarda il suicidio di Vargas, anzi l’omicidio premeditato di Mazzarri, si acclama Pandev, si guarda con sospetto ai non interventi difensivi di Fernandez, ci si infastidisce abbastanza all’ennesima finta di Zuniga. Si esulta moderatamente al primo, si trattiene il fiato per il secondo. C’è chi l’ha vista nettamente dentro, chi chiama casa per sapere, chi ringrazia il guardalinee a prescindere. Ci si guarda atterriti consapevoli della figura poco nobile fatta in casa con un Cesena da film dell’indimenticabile Troisi, scena più volte ricordata da chi era lì con noi.
Ma lui non fa nulla di tutto ciò. Questo lo abbiamo fatto noi. E lo avrebbe fatto un occasionale qualunque, anche se con diversi contenuti ed emozioni meno collaudate e condivise.
Lui no. Lui torna sempre sorridente all’auto con noi, si mette a sedere in silenzio e mentre siamo nel traffico ascoltando i commenti più o meno sapienti dei tifosi in radio ci spiazza, riflessivo: “Comunque, non sono un tipo da stadio”. No. Non è un occasionale qualunque.
E io non ho potuto fare a meno di presentarvelo!
Deborah Divertito