Nel paese di Birzù, dove il derby non si giocò perché sparirono i palloni

Pubblichiamo un racconto del professor Guido Trombetti, un po’ surrealtà un po’ gioco matematico. Quello di Birzù è un piccolo strano paese. Con mille abitanti. Novecento donne e cento uomini. Un solo bar. Illuminato da fioche candele. Una sola chiesa. I balconi delle case tutti pieni di fiori che diffondono profumi deliziosi. Fiori inutilmente colorati. […]

Pubblichiamo un racconto del professor Guido Trombetti, un po’ surrealtà un po’ gioco matematico.

Quello di Birzù è un piccolo strano paese. Con mille abitanti. Novecento donne e cento uomini. Un solo bar. Illuminato da fioche candele. Una sola chiesa. I balconi delle case tutti pieni di fiori che diffondono profumi deliziosi. Fiori inutilmente colorati. Inutilmente? E già. Il fatto è che a Birzù è sempre notte. Sempre buio. E dunque non è facile distinguere fior da fiore se non attraverso l’olfatto. Come non è immediato distinguere le persone. Né il loro sesso.

In quel paesello tutti avevano una grande passione per il gioco del calcio. E lo giocavano per la strada o nei viali della villa comunale. Poiché al buio era difficile decidere avevano abolito l’arbitro. E teso tra i pali una fitta rete di campanellini. In modo che non vi fossero dubbi quando la palla entrava. Ogni anno il giovedì di Pasqua si teneva una disfida calcistica. Tra due squadre acerrime rivali. La squadra di Birzù di sopra. E quella di Birzù di sotto. Ed anche quell’anno arrivò il giorno fatale. Erano le venti. Le squadre erano pronte a cominciare l’incontro. Nella penombra di Birzù. Il pubblico intonava cori di incitamento. Quando scoppiò il dramma. Erano spariti tutti i palloni. Che erano custoditi in un armadio all’interno del campetto di calcio. L’addetto alla custodia era il magazziniere Pino. Che per altro abitava nelle vicinanze del campo.

Birzù era sempre stato un luogo tranquillo. Brava gente. Di poche pretese. Abituata a lavorare senza creare problemi. Di problemi ne avevano già abbastanza dovendo vivere nelle tenebre. La partita non si tenne. Per la prima volta dopo decenni.

Le indagini partirono subito. Affidate al corpo di polizia locale. Che aveva in vero assai poca esperienza. L’ultima investigazione risaliva a tre anni prima. Quando era scomparso il gatto della vecchia signora Maria. Il brigadiere comandante ne fu molto eccitato. In capo ad un mese interrogò tutti gli abitanti del paese. Redisse meticolosi verbali infarciti di “a quell’ora ero a casa” e di “certo lo sapete qui non si vede nulla”. Però un testimone lo trovò. Uno che affermava di essersi trovato alle sei e trenta vicino al campetto. E di avere riconosciuto nelle tenebre una figura maschile. Il brigadiere aveva concluso non potersi trattare che del magazziniere Pino.

Così fu istruito il processo. La corte era presieduta da un anziano giudice molto saggio e colto. Con una grande passione per il calcio e per il calcolo delle probabilità.

Al termine di un approfondito dibattimento il giudice sintetizzò lo stato dell’arte. «Dunque, come ci dice nel suo rapporto il brigadiere comandante, abbiamo un testimone. Che dice di aver visto un maschio all’ora del delitto sul luogo del delitto. Se ciò corrisponde al vero, cioè se quello visto era davvero un maschio, il colpevole non può essere che Pino. Ma questo è il punto. Come facciamo ad essere certi che il nostro testimone abbia visto giusto? Mica possiamo condannare un uomo a cuor leggero.

Ho deciso pertanto di nominare una commissione di esperti per conoscere la probabilità che ha una persona, qui a Birzù, di indicare correttamente se un individuo è maschio o femmina. Sulla base della risultanza del lavoro della commissione emetterò il mio verdetto».

E così fu. La commissione di scienziati venuti dall’estero si insediò. E in capo a due mesi poté consegnare al giudice un’ampia relazione. Che si concludeva con la seguente valutazione: “Abbiamo ricostruito la scena del delitto. Ed abbiamo fatto ripetere un gran numero di volte da parte di persone diverse il riconoscimento di persone diverse che si aggiravano intorno al campetto. È stato correttamente individuato il sesso nell’80% dei casi.”

Il giudice allora lesse con calma. Si fermò a riflettere alcuni istanti. Poi sorrise e scosse il capo. Quindi prese carta e penna e cominciò a far di conto. Dopo un quarto d’ora riunì la corte ed emise il seguente verdetto: “Tenuto conto degli esiti della relazione scientifica si assolve Pino dall’accusa di furto dei palloni”.

Dal folto pubblico si levò come un sol grido un “ohhhhh” di grande stupore. “Ma come con l’80% di probabilità che il testimone abbia visto giusto un verdetto di assoluzione? … Il giudice è impazzito? … Un molto probabile ladro in libertà?”

“Capisco il vostro stupore” disse il vecchio giudice “ma il problema vero è che voi non avete dimestichezza con il calcolo delle probabilità. Se si fanno i conti correttamente si trova un risultato sorprendente quanto incontrovertibile. La probabilità che il testimone abbia visto giusto è solo di 4/13. Quindi quella che abbia sbagliato è 9/13. Pertanto è più probabile che abbia torto. E perciò mando assolto l’imputato”

Sono passati trent’anni dal giorno di quella sentenza. Sono stati comprati palloni nuovi. Ed affidati al posto di polizia. Gli incontri di calcio si sono tenuti ogni anno regolarmente. A Birzù quasi nulla è cambiato. È sempre buio pesto. I balconi sono sempre pieni di fiori. Il magazziniere Pino non c’è più. Ma ancora oggi ogni sera al bar si discute di quel processo.

Guido Trombetti

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