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Napoli città di merda (però leggetevi l’articolo)

Andiamo allo stadio in motorino nonostante il cielo sia pieno di pioggia. Parcheggiamo nello stesso posto in cui parcheggiamo dall’inizio del campionato, a pochi metri dal parcheggio abusivo e selvaggio improvvisato da alcuni ragazzotti del posto. Mentre mettiamo la catena al motorino ci si avvicina un tizio che sembra un topo e ci chiede se andiamo a vedere la partita.
Sono maldisposta, lo ammetto, e gli chiedo qual è il suo problema. Mi dice che il suo problema è che devo pagare il parcheggio. Gli dico di scordarselo, perché, da che vengo allo stadio, qui non l’ho mai pagato. Mi dice che suo padre è carcerato, che non lo vede mai, che deve portargli i soldi in galera, che lui deve guadagnare, e che questo è il suo mestiere. Gli rispondo che me ne fotto di suo padre carcerato, e che c’è crisi e io non ho gli occhi per piangere, nonostante svolga un lavoro (io sì) onesto e che sto andando a vedere una partita di pallone della squadra che amo e gradirei non avere rotture di scatole né ricatti. Mi dice che deve lavorare pure lui. Gli faccio notare con poca grazia che quello del parcheggiatore abusivo non è esattamente ciò che può definirsi un mestiere. Mi guarda attonito e per un momento penso che sto facendo una cazzata, che questo mo caccia un coltello o una pistola e addio Napoli-Lecce e che manco mi vedrò il Villarreal. Gli dico che al massimo gli do cinquanta centesimi. Apre la mano per prenderli e dice che vuole due euro. Gli dico che può serenamente scordarseli e che questo è tutto ciò che ho. Mi dice di riprendermeli e poi indica il motorino “non ti preoccupare”, mi dice, “questo è il vostro motorino, no?”. Una minaccia in piena regola, mentre ci guarda in quel modo che detesto e che rappresenta una parte di questa città.
Mi sono sentita come violentata, aggredita, come se mi avessero trafitto il cuore in una serata grigia di pioggia in cui non desideravo altro che amare il Napoli come faccio ogni giorno. Avrei voluto piangere per questa città martoriata, offesa, violentata ogni giorno da gente così. per di più a due passi due dai vigili urbani piazzati all’angolo della pizzeria a fare niente. Ho detto al Martire di spostare il motorino, urlando in direzione del parcheggiatore topo. Ma ho tenuto in mano la catena del motorino per tutto il tempo che è durata la manovra. Sì, lo confesso, ho avuto paura. Ho avuto paura che il topo tornasse con i rinforzi, a menarci, magari, a distruggere l’eroismo da quattro soldi che stavamo dedicando alla nostra amata città. Avrei colpito duro, e alla fine magari sarei finita in carcere e avrei scritto i miei articoli da lì. Spostiamo il motorino in una traversa secondaria urlando ed imprecando contro il topo di prima ed il malaffare a cui siamo costretti a sottostare ogni giorno. Da lontano uno ci dice “parcheggio”. Mi giro come una iena e gli urlo che non tengo manco una lira, se ne andasse a quel paese. Io lo so che è capitato almeno una volta ad ognuno di voi, lo so. Perché questa è la normalità a Napoli. È normale essere trattati da schiavi, essere sottoposti al pizzo persino quando non vuoi far altro che goderti una serata tutta tua e di altri 6 milioni di tifosi al mondo. E non c’è nessuno che ti tuteli se semplicemente decidi di dire no. Ecco, ora vi chiedo, se io fossi tornata a casa ed avessi aperto Twitter e avessi scritto semplicemente “Napoli città di merda”, voi, mi avreste detto che avevo torto? E Forza Napoli (anche città). Sempre!

Ilaria Puglia

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