Ciao, Vincenzo

Quando l’anno scorso sono tornata al San Paolo dopo una vita, col mio abbonamento stretto forte nella mano, il sorriso da bambina stampato in faccia e il panino salsiccia e friarielli nella borsa, il primo con cui ho parlato è stato lui, Vincenzo. Magro, alto più o meno come me, col viso angoloso e ossuto, […]

Quando l’anno scorso sono tornata al San Paolo dopo una vita, col mio abbonamento stretto forte nella mano, il sorriso da bambina stampato in faccia e il panino salsiccia e friarielli nella borsa, il primo con cui ho parlato è stato lui, Vincenzo. Magro, alto più o meno come me, col viso angoloso e ossuto, sorridente. Mi ricordo che appena vide il mio panino esclamò “Salute!” e fu allora che forse mi prese in simpatia. Lo scrissi pure nel mio articolo sul Napolista, del nostro incontro, sarà da qualche parte nella mia rubrica, il secondo articolo, il mio primo dopo una partita vista da lì. Era seduto accanto a me e ci rimase per un paio di partite. Poi, non ricordo come, il suo posto fu preso da Benny, l’uomo dei Pocket Coffee, e Vincenzo andò a sedersi alla sua sinistra e da lì non si mosse più.

Diventò uno dei miei lettori più affezionati e trascinò anche alcuni amici su questo sito che amo tanto. Era malato di cuore, Vincenzo. Benny ce lo raccontò un giorno che Vincenzo non era venuto allo stadio e noi gli avevamo chiesto perché. Quando faceva troppo freddo la moglie non lo faceva uscire di casa, per non peggiorare le sue precarissime condizioni di salute. Eppure mai un lamento, mai, mai un benché minimo accenno alla sua malattia. Era presente a Napoli-Lazio 4-3, quando anche i più forti di cuore tra noi hanno rischiato l’infarto. Lui era lì, e ricordo distintamente la mano che si portò sul petto, mentre io perdevo la scarpa dalla felicità e ci abbracciavamo tutti increduli per l’impossibilità realizzata all’improvviso.

Ricordo che prima dell’inizio di quella partita lo incontrammo fuori allo stadio, al varco tribune, entrammo insieme, rovesciando tutti i riti. L’ho descritta nel mio libro, come andò quella giornata ed è il racconto del mio libro che amo di più. E’ venuto alla presentazione del mio libro, Vincenzo, l’8 novembre. Venne pure Benny. E per me fu una gioia grande averli lì, perché erano parte di quell’avventura meravigliosa che avevo cercato di rendere a parole. E mentre Maurizio de Giovanni leggeva proprio quel passo che amo tanto e lo nominava, io l’ho guardato, lì in fondo alla sala, in piedi, e lui mi ha sorriso, alzando il dito per dire “sono io, quello di cui sta parlando, io”.

E oggi, a ripensarci, sono tremendamente felice che lui sia in quelle pagine che per me sono tanto importanti. L’ho visto l’ultima volta sabato sera, Napoli-Lazio ancora una volta, come se ci fosse un cerchio da chiudere. E’ stato così felice della rubrichetta che ho “vinto” sul Mattino che ha chiamato al telefono un amico che viene sempre allo stadio per raccontarglielo. Mi ha presa in giro tutto il tempo, mentre scrivevo col netbook sulle ginocchia. E alla fine del primo tempo ha voluto conoscerne i dettagli finché io, presa da quello stupido articoletto che dovevo scrivere, gli ho detto “vabbuò, guagliù, fatemi scrivere, ciao”. I miei soliti modi del piffero. E lui si è riseduto accanto a Benny a commentare la partita.

I commenti di Vincenzo, con la voce che ogni tanto si abbassava per la foga non li dimenticherò mai. Come non dimenticherò mai il suo stranissimo tono di voce, sempre un po’ affaticato. Sabato si è arrabbiato moltissimo con Dzemaili, come tutti noi, del resto. Ci ha chiesto se ci saremmo stati, stasera, visto che contro il Bayern il caso ha voluto che comprassimo i biglietti per la Tribuna Nisida, noi tutti abbonati in Posillipo, e che capitassimo a una fila di distanza, lui sotto, noi sopra, poco più a sinistra rispetto a noi. Quando si dice il caso. E ci siamo dati il cinque alla fine del primo tempo e abbiamo chiacchierato con il sorriso sulle labbra e gioito insieme di quel pareggio che ci sembrava una vittoria. Aveva il biglietto pure per stasera, Vincenzo. Lui e tutto il suo gruppo, a cui oggi penso con un’indicibile tristezza perché credo che nessuno andrà lì e che rimarranno dei posti vuoti e nessuno si chiederà il perché. Bé, invece per me è importante che si sappia, il perché.

Vincenzo è morto ieri. Infarto. Stava accompagnando il padre ad Avellino ed il suo cuore si è fermato. E la cosa più assurda è che ha deciso di fermarsi proprio alla vigilia di una partita così importante come quella di stasera, in cui ci giochiamo tutto, la sopravvivenza in Champions, il nostro futuro di mercato, il futuro del campionato, persino. Tutto. Mentre lui non può giocarsi più niente. Adesso, mentre scrivo e non riesco a frenare le lacrime per una persona di cui alla fine non so quasi nulla, penso che avrei voluto solo che magari finisse domani, per non fargli perdere questa serata di cui all’improvviso non mi frega più niente, per regalargli un’emozione in più. Penso che sia assurdo avere un appuntamento così importante e mancarlo perché semplicemente, all’improvviso, non esisti più. Perdersi un’emozione tanto grande che forse il tuo cuore malato, per gestirla, deve impegnarsi molto più di tutti noi.

Penso che ognuno di noi dovrebbe aver presente quest’infamità meravigliosa che è la vita, perché è solo una meravigliosa infamità una cosa che può finire all’improvviso così. Tipo tu esci la mattina per fare la spesa e non torni più a casa ed il tuo telefono inizia a squillare a vuoto, che tu tanto non risponderai mai più, che tua moglie si preoccupa perché non sa che fine hai fatto, perché tuo padre ti sopravvive come non dovrebbe mai essere con un figlio. Perché gli amici che ti hanno preso in giro perché sei malato da una vita non potranno scherzarne più e vivranno una giornata in cui persino il cielo piange e tu sai che c’è un dannatissimo perché.

Mi ha chiamata Benny, per dirmelo, stamattina, e a lui va il mio ringraziamento, e lui abbraccerò più forte di tutti al funerale, insieme al Martire. Si è ricordato di avvisare proprio noi, perché noi tenevamo a Vincenzo e lui a noi. E questo per me è impagabile perché mi permetterà di dirgli davvero ciao, quando sarà il momento di accompagnarlo nel posto dove si va dopo questa vita assurda che viviamo quaggiù. Tenetelo ben presente tutti, quindi, non smettete mai di parlare, e di trovare un attimo di vita da dedicare agli altri. Perché sennò non avrà avuto un senso niente, di quello che avrete fatto durante la vostra permanenza quaggiù. E suona strano dirlo proprio oggi, che penso tanto al concetto di “tempo”. Ciao, Vincenzo. Per me ed il Martire sarai sempre al tuo posto in tribuna, sempre. E qualsiasi emozione io proverò stasera, per me quella sarà dedicata solo a te. Ci rivedremo, prima o poi. Ti bacio, Ilaria.

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