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Voliamo bassi bassi, ora ci vuole cazzimma

Mi sveglio alle 6 e non si vede nulla fuori. Una nebbia che a guardarla sembra di stare a Milano, il che già mi intossica un po’ la giornata. Mattinata tranquilla, a far passare il tempo lavorando. Una spesa en-passant, uno spaghetto a vongole con prelazione sulle spigole al forno che mangeremo in serata. Sono le 12.30 e siamo pronti per buttare la pasta: giochiamo alle 15 e i bambini vanno addormentati prima, perciò si anticipa l’ora del pranzo. Squilla il telefono. È mia suocera. Passo la cornetta al Martire e lo sento dire “ah, venite, allora? No, è che non avevate confermato..”. Posa il telefono. Lo guardo in silenzio pregandolo con gli occhi di dirmi che non è come credo, che non verranno a casa nostra a vedere la partita. Lui mi guarda come per dire “purtroppo sì”. Non fraintendete, ho dei suoceri splendidi, ma una partita insieme non la si è mai vista. Cioè, con mio suocero sì, la promozione in serie A nel 2006-2007, ma tutti e due assieme con me e il Martire non ci siamo mai riuniti davanti ad una partita di campionato. Non dico nulla al Martire per non fargli prendere collera, ma il mio cervello elabora statistiche e probabilità e il mio cuore ha una tremenda, tremendissima paura. “A che ora vengono?” domando seria “pochi minuti prima delle 15” la sua risposta serissima. Non ci parliamo, ma sappiamo entrambi cosa pensa l’altro. Si glissa. Alle 14 dormono tutti, persino il Martire, sul divano. Mi domando come faccia. Io fremo. Fremo proprio. Vado avanti e indietro dal tavolo allo snack al balcone al divano, guardo di continuo l’orologio, conto i minuti che non passano mai. Uno scambio di battute con Lisa dal Brasile che vive il mio stesso dramma ansiogeno e familiare (anche in Brasile, i mariti dormono..). Alle 14,30 sono sul ciglio del divano. Non riesco a stare ferma. Martire e primogenito continuano a dormire. Mi muovo un po’ per svegliare almeno il Martire. Mette su il caffè. Io continuo nel mio mutismo pre-partita. Orsato fischia. Siamo in ballo, giochiamo. Questo è il momento esatto in cui vorrei sempre dire “Alt!”. Alle 15 e pochi minuti arrivano i suoceri. Quasi non li salutiamo per non essere distolti da tutto quell’azzurro. Siamo tutti sul divano. Io con block notes e penna blu per stilare le pagelle in corso d’opera. Mi ricordo che anche il divano è nuovo. Se perdiamo brucio divano e suoceri e poi i cadaveri e il telaio li scaravento direttamente nel Collana. So che il Martire la pensa esattamente come me. Quando sei tra i fortunati che la settimana scorsa hanno rischiato l’embolo cardiaco e cerebrale per le emozioni della partita contro la Lazio una partita così non può darti lo stesso tremore di gambe. Resto seduta quasi tutto il tempo. Sembra una pratica già conclusa. Eppure una partita perfetta: cinica e concreta come si conviene in casi così. Imprecisioni, certo, ma diretti al risultato senza colpo subire. Il Dall’Ara tutto azzurro è uno spettacolo. Che pubblico, che gente straordinaria siamo. Ma chi ce l’ha una tifoseria così? Penso tutti e novanta i minuti a quelli che conosco e che sono là. Sono felice per loro. Insomma, la partita finisce e siamo primi. Lo realizzo in un attimo. Siamo primi in classifica. A pari punti con il Milan, magari per poche ore, ma siamo maledettamente primi. Non credeteci tutti insieme, però, mi raccomando. Bassi bassi. Loro si stanno fregando di paura. Ma noi restiamo bassi bassi. Scippiamo l’inscippabile. Con cazzimma. Fino alla fine. Non voglio rinunciare alla frenesia ma neppure smettere di parlare di calcio come abbiamo fatto finora. Altre sei partite così e rischio di morire dall’ansia. Eppure non ne salterei neppure una per non gustarmi l’attesa. Questo calcio e questo campionato è la prima volta in cui adoro aspettare. Impagabile una roba così. E Forza Napoli. Sempre.
di Ilaria Puglia

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