Riempiamo il Dall’Ara, colonizziamolo, ma voliamo ancora basso

Sì, lo ammetto, non mi piace quest’aria troppo festaiola, la stessa che si avvertiva alla vigilia della partita contro la Lazio. Tutti a volare alto, tutti a rifilare auspicabili ed ipotetiche tre polpette (marò, il termine polpetta inizia a diventarmi tanto indigesto da sconfessare quasi uno dei miei piatti preferiti), a scrivere “io ci credo” […]

Sì, lo ammetto, non mi piace quest’aria troppo festaiola, la stessa che si avvertiva alla vigilia della partita contro la Lazio. Tutti a volare alto, tutti a rifilare auspicabili ed ipotetiche tre polpette (marò, il termine polpetta inizia a diventarmi tanto indigesto da sconfessare quasi uno dei miei piatti preferiti), a scrivere “io ci credo” a caratteri cubitali come se fosse un marchio a fuoco. Io no. Io non ci credo. Però penso che dovremmo crederci. E sicuramente giocarcela. Fino in fondo e con tutta la cazzimma del mondo. Perché a me, adesso, a mente fredda, della partita contro la Lazio mi sono rimaste dentro un sacco di cose, ma, tra tutte, quello che proprio non riesco a metabolizzare è l’atteggiamento di Mazzarri. Metabolizzare in senso buono, sia chiaro. Lo guardavo, domenica, mentre crepavo dal caldo senza neppure essere esposta al sole, e mi chiedevo com’è possibile che con meno 3 gradi quello si strappa la giacca di dosso e con 30 la tiene attaccata alla pelle. Deve avere una temperatura corporea diversa dalla nostra. E una serie di scaramanzie che pure noi malati ce le sogniamo. Vabbè, ma non è questo che volevo dire, quello che mi preme dal profondo del cuore e ancora mi fa sentire i brividi sulla pelle. Quando sul 2-0 Walter ha fatto entrare Mascara per Pazienza e sul 3-3 Lucarelli per Yebda, io l’ho amato alla follia. E avevo pure desiderato sbracciarmi assieme a lui quando sul 2-2 aveva detto ai suoi di smettere di cazzeggiare in campo per esultare, che era ora di andare a segnare il terzo. Insomma, diciamola tutta, sta’ partita “a finale” l’ha vinta lui. Ecco, neppure io l’ho mai amato, Walter. Senza considerare la parentesi Donadoni, che proprio non posso neppure mettere in memoria per quanto inutile la trovo, sono rimasta sempre legata a Reja, per debito di riconoscenza, forse, sudditanza psicologica, non lo so. Di fatto, il livornese non l’ho mai accettato con piena fiducia. Le continue lamentele contro gli arbitri, poi, hanno fatto il resto. E però domenica scorsa mi sono proprio innamorata: con questa cosa qua mi ha infilato la stoccata finale al cuore che già era esposto in qualche fessura. Perciò sì, tutti a Bologna (io no, ma portatevi le sciarpe ed un pezzetto di me), perché il San Paolo gremito ha fatto la differenza, perché quando non mi ricordo chi ci ha incitati ad incitarli io mi sono sentita il dodicesimo giocatore in campo, forte, potente, capace di qualsiasi cosa. Riempiamo il Dall’Ara, colonizziamolo, dobbiamo essere tutti uniti ancora una volta. Però, per piacere, voliamo basso, o almeno piangiamo e fottiamo, ve lo chiedo per cortesia. Lamentiamoci un po’, su, che è sempre meglio. Il Milan si è comprato il campionato, si sa, diciamolo in coro. Urliamo che abbiamo paura, che non siamo all’altezza, che non ce la possiamo fare, non abbiamo neppure Cavani, è impossibile. Che sicuramente non è una scampagnata dedicata alla mortazza. Facciamo i napoletani che aspettano la manna, non quelli festaioli e cazzarari che non hanno voglia di lavorare. Andiamo a Bologna e sudiamocela ancora. Pensiamo tutti assieme che ce la possiamo giocare e giochiamocela fino alla fine. Ma bassi bassi, però. Rasoterra quasi. A noi di quella cosa lì non ce ne frega una ceppa. Noi secondi vogliamo essere. Primi era roba solo da Maradona. Sono passati anni luce da Maradona. E noi siamo tanto, tanto oltre Maradona… E Forza Napoli. Sempre.
di Ilaria Puglia

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