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Cavani, conoscerlo è un’esperienza mistica

Non c’ero mai stata al Teatro Mediterraneo, lo confesso. Ma Edinson avrebbe potuto parlare anche in una squallidissima piazza, credo mi avrebbe fatto lo stesso effetto. Insomma, io, ieri, c’ero. Jeans, camicia a quadri con il bejge con le maniche appena girate, capelli morbidi a coprirgli un po’ il viso, mi sembra senza apparecchio ai denti, non vorrei sbagliare. Mi ha fatto effetto vederlo così da vicino. Innanzitutto me lo aspettavo più “biafratico”, invece è alto ma pure ben piazzato. Muscoloso, non troppo, ma definito. Insomma, un belvedere. La sensazione che ho avuto, quando è entrato, è stata di leggerezza, tranquillità. Edinson mette serenità solo a guardarlo, ma infonde pure tanta forza. Timido, sensibile, si è emozionato più volte, soprattutto quando ha raccontato l’episodio dei tacchetti nel sottopassaggio durante i Mondiali, la voce rotta dall’emozione è stata uno spettacolo, roba rara, tanta roba. Però mi ha dato anche l’idea di uno che ha tanta energia, dentro, tenacia, grinta, forza e che non sente proprio la necessità di tirarla fuori. Voglio dire, non è uno che ha la smania di mostrarsi all’esterno, di apparire – impressione, pessima, che invece mi ha fatto il suo procuratore, Anellucci, vabbè, sono opinioni, però non riesco a tacere il fatto che sembrava che la star fosse lui, non il Matador – ma è uno che se deve finire un discorso fa capire con eleganza al moderatore che ha ancora da parlare. Bello. Sano. Pulito. Pieno. Dovessi associarlo ad un colore immaginerei un arcobaleno di tinte tenui, con sprazzi di luce. Sì, ho avuto un’esperienza mistica. Mentre parlava, facevo quasi fatica a seguire il discorso. Ad un certo punto, anzi, mi sono estraniata del tutto. Tra le tante dichiarazioni riportate da radio e giornali, quella che a me ha colpito di più non l’ho ancora letta, magari mi è sfuggita, però è quella da cui è partita la mia esperienza di riflessione. Ad un certo punto si è soffermato sulla religione, sul messaggio che voleva dare con il suo libro. Non è tanto Dio, ha detto, ma quello che possiamo fare tutti quando siamo “illuminati”. Noi giocatori abbiamo vita breve, ha spiegato, quello che resta, alla fine, è l’uomo, la persona. Ecco perché Edinson è speciale. Vuole lasciare un segno. A lui basta toccarti anche solo per un attimo. Sì, il contratto, la scelta di restare, il fatto che a Napoli prova emozioni uniche, va bene tutto, tutto importante, ma a me ‘sta cosa che ha detto e che quasi è passata inosservata mi ha fatto bene: l’ansia di fare il meglio possibile per lasciare un segno mi ha dato tanto a cui pensare. Alla fine vale davvero la pena “smazzarsi” tutto il giorno, correre di qua e di là, rincorrere sempre qualcosa o qualcuno. Nel libro dice che è sempre stato abituato a rincorrere qualcosa. Bè, anch’io. Ed ha ragione lui. Vale la pena perché qualcosa, negli altri, rimane. Magari tra quarant’anni nessuno si ricorderà neppure della nostra faccia, ma se tocchi per un attimo una persona le resterai dentro per sempre. Alla fine resta questo. Grazie, Edinson. Ti ho ascoltato ed ho capito. Mi hai fatta riflettere. Ecco qual è il senso. E Forza Napoli. Sempre.
di Ilaria Puglia

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