Ieri sera si è ricompattata la formazione. Non parlo di quella di Mazzarri, ma quella che si riunisce a casa mia in occasione delle partite del Napoli. Eravamo in sei, ed a me, per dare il buon esempio (ma gli altri dicono per paura di mia moglie), tocca essere il più moderato. La formazione titolare, per vari motivi, non si era più riunita dalla partita con il Villareal. Ed è stato come se questi diciassette giorni non fossero mai trascorsi. Il Napoli che è entrato in campo nel secondo tempo, era lo stesso che aveva dominato per 43 minuti gli spagnoli. Stessa determinazione, stessa cattiveria, perfino stesso Ruiz, ed anche stesso Lavezzi. Perché il Pocho non cambia mai. Caso mai (ogni allusione è puramente voluta) cambiano i giudizi su di lui. Il gol che ha fatto, è mancato poco che lo sbagliasse. Ha tirato col piede di rientro, quasi inciampando. Nessuno si sarebbe meravigliato se avesse fallito quella occasione. Lui, ed in parte Hamsik, sono importanti anche quando non giocano al cento per cento. Al contrario di Cavani, ed in parte Maggio, che per rendere devono essere al massimo della forma. Fino al momento del passaggio del gol, sia lui che Marek, si erano limitati a degli appoggi all’indietro, senza mai esse incisivi. Ed è proprio questa la loro caratteristica. A volte sembrano irritanti, ma, appena li molli un attimo ti puniscono. Pocho è capace di fare le cose più incredibili, come può sbagliare i gol più semplici. Cosa avremmo detto se si fosse mangiato il gol che ha sbagliato il Cesena alla Juve? L’avremmo crocifisso sul terreno di gioco, senza neanche aspettare il rientro negli spogliatoi. Come invece è passato quasi inosservato, perché alla fine non è stato determinante, l’impossibile gol segnato al Milan, quando, nello spazio di un metro, ha fatto un pallonetto ad un portiere alto due metri. E dopo essersi rialzato, neanche completamente, dopo un ruzzolone. Cose che Diego ha fatto qualche volta in allenamento. Una sola volta, col Perugia fece qualcosa di simile: una mezza rovesciata stando seduto per terra.
Tornando al mio salotto, nell’intervallo, per cercare di dare uno scossone alla partita, ci siamo tutti scambiati di posto. I frutti si sono visti quasi subito. L’urlo che si è alzato al pareggio e rimasto quasi strozzato, perche ci aspettavamo l’annullamento per fuori gioco. Quando ci siamo resi conto che Morganti (addà campà cient’anni) aveva convalidato, ormai avevamo perso l’attimo. Quando il Pocho è scattato sulla destra presentandosi da solo davanti al portiere siamo saltati tutti in avanti quasi a volerlo frenare per non fargli concludere troppo precipitosamente l’azione. Lui, incurante dei nostri timori, oltre al portiere, ha preceduto anche noi, che, data l’agitazione, ci siamo accorti che aveva segnato, solo quando l’abbiamo visto eseguire quella specie di danza tribale circondato dai compagni. Inutile dire che la stessa danza abbiamo improvvisato noi uscendo sul terrazzo. Fino a quando una delle figlie non ci ha intimato di smetterla perché aveva vergogna a farsi vedere in giro, dopo lo spettacolo che stavamo dando all’aperto. Per fortuna che era tardi e faceva freddo, così i danni risultavano limitati. Il terzo gol non ci ha colto impreparati. Ma ci siamo limitati ad abbracciarci come bambini alle giostre per non provocare ulteriori risentimenti familiari.
Adesso restiamo in attesa di vedere quante giornate di squalifica si beccherà il nordico svedese Ibrahimovic, che per dissipare ogni equivoco discriminatorio, dico che, assieme al suo degno compare Gattuso, è solito assumere atteggiamenti da vero camorrista, sia nei confronti degli avversari che degli arbitri. Se lo sputo è considerato gesto violento, mi domando cosa sarà mai per Tosel un pugno nello stomaco. A meno che il Premier non riesca ad inserire nella prossima riforma della giustizia una leggina ad-Ibram.
Un caro saluto a tutti da
PASQUALE DI FENZO
Recuperati i titolari, anche a casa mia
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