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Da Vojak a Cavani, un filo che ci unisce

Quando Cavani ha segnato il gol del record ho subito immaginato cosa avrebbe detto mio padre, che Vojak lo ha visto giocare: finalmente, uno che segna; se non hai chi segna, chi la butta dentro, mi ripeteva, le partite non le vinci mai! Andava allo stadio che era ancora un ragazzino, ricordava addirittura il campo dell’Ilva Bagnoli, e il suo primo idolo, come per tutti i ragazzi di quel tempo, fu Sallustro, il veltro, il centravanti del primo trio delle meraviglie: Vojak, Sallustro e Mihalic. In porta c’era Cavanna, zio di Piola, e gli scugnizzi, durante gli allenamenti, seduti dietro la rete, indicando un angolo della porta, gli gridavano: ccà vann’ ‘e gol.
Sarà contento, ora che guarda le partite sporgendosi da una nuvola, che c’è chi segna, come segnava Vojak.
Certo, penserà, Mazzarri non è Garbutt, non ha lo stile di un raffinato uomo di Inghilterra e non fuma la pipa, e poi non ha mai detto ai suoi,  come l’inglese di Manchester: “per fare una grande squadra bisogna dimostrare di essere grandi calciatori, che hanno grande coraggio, grande entusiasmo, grande cuore. Chi non ha queste virtù può vestirsi e andarsene subito; quelli che intendono restare devono farsi trovare tra dieci minuti, in tenuta atletica, nella mia stanza perché voglio loro stringere la mano e conoscerli personalmente”.
Eppure guarderà con simpatia all’impeto di questi giovanotti, ricchi e un pò  spocchiosi, ma vestiti d’azzurro come il cielo della sua città, che amò anche tifando per quella maglia.
Aveva appena messo i calzoni lunghi quando vide il nuovo stadio, voluto da Ascarelli, napoletano di origine ebraiche, e a lui intitolato dopo la morte, improvvisa, fino a quando i fascisti sostituirono quel nome con il “Partenopeo”, non paghi di vessare i vivi.
Ricorderà Colombari, il primo, vero “banco ‘e napule”, e poi gli anni del dopoguerra e lo stadio del Vomero, Posio e Gramaglia, Jeppson e Vinicio, fino a Pivatelli e Gratton, quando per mano mi accompagnò alle prime partite nel nuovo stadio di Fuorigrotta, sempre gremito, e poi ancora Sivori e Altafini, quando ho cominciato ad andarci anche da solo per raccontargli, la sera, le emozioni di quei pomeriggi; e così Juliano, Zoff, Clerici, Savoldi, Krol; infine volgerà il pensiero a quel giorno con la Fiorentina, quando dopo tanti, lunghissimi anni capì che la nottata era finalmente passata e poté sventolare il cappellino che gli avevo comprato perché si riparasse dal sole, esultando il giusto, ché troppi erano stati gli anni delle delusioni, stemperate solo dalla nostalgia. E forse ricorderà anche la nostra ultima discussione dopo i fatti di Avellino e le cinque giornate di squalifica, che gli sembrarono volutamente eccessive, come sempre.
Dunque esiste un filo che cuce l’uno con l’altro tutti i momenti di questa squadra, che tiene insieme i ricordi lunghi ottanta e più anni, che lega più generazioni, che ci riporta tutti ad una sola e inguaribile passione. È il filo di una storia di sport ma anche di una parte della nostra vita.
Anche per questo, Napoli, grande Napoli, ti voglio bene!

Mimmo Taglialatela

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