In carrozzella
con Maradona

“Caro Diego”, il libro di Mimmo Carratelli, racconta la vita del pibe de oro, un omaggio ai 50 anni di Diego. Ecco il sogno dell’ultimo capitolo pubblicato oggi da “La Repubblica”, edizione Napoli. Mi procuro una carrozzella come ce n’erano una volta a Napoli. Ne avevo vista una, l’anno scorso, in via Partenope, nell’ultima settimana […]

“Caro Diego”, il libro di Mimmo Carratelli, racconta la vita del pibe de oro, un omaggio ai 50 anni di Diego. Ecco il sogno dell’ultimo capitolo pubblicato oggi da “La Repubblica”, edizione Napoli.

Mi procuro una carrozzella come ce n’erano una volta a Napoli. Ne avevo vista una, l’anno scorso, in via Partenope, nell’ultima settimana d’agosto, con un gruppo di turisti a bordo. Incredibile, sul retro del calesse aveva un numero magico, “10”. Una volta, le carrozzelle parcheggiavano in piazza Municipio prima che Lauro facesse abbattere i lecci e sloggiasse i cavalli che vi lasciavano le scorie della digestione.

Sulla carrozzella mi faccio portare all’aeroporto di Capodichino. Data l’eccezionalità dell’occasione, mi consentono di andare in carrozzella sulla pista, sin sotto l’aereo che è appena atterrato. Stai discendendo la scaletta dell’aereo. Fiero, felice. Robusto, ma non più grasso. La barba appena ritoccata. Il passo agile. E quegli occhi neri che puntano al cuore. Occhi furbi, ma leali, sinceri. Il tuo sguardo sicuro, dritto. E il brillio degli orecchini. Lampi di luce, messaggi di luce: sono qui, sono tornato.

“Hola, pibe”.

Ti faccio salire sulla carrozzella. L’ho addobbata con una bandiera argentina, una bandiera del Napoli, una bandiera del Boca. Ti vedo felice. Sei qui, a Napoli, “seconda mamma mia” come cantavi una volta. Ce ne andremo a fare un giro. “Ritornerai” cantava Bruno Lauzi. Sei tornato.

“Non sono vecchio, sai” è quello che dici. “Sono solo un po’ meno giovane”.

Discendiamo verso Poggioreale, oltrepassiamo la stazione, andiamo verso il mare.

“Chi abita nella mia casa a Posillipo?” chiedi. “Dove sono i miei compagni? Dov’è Salvatore?”.

Salvatore Bagni è già arrivato, nero come un tizzone. Il sole dell’estate romagnola se l’è mangiato. Ci sono tutti.

“Anche Ciro? Anche Garellik, anche Bruscolotti, anche Giordano, anche Careca?”.

Tutti.

E’ la tua festa, Diego. Cinquant’anni, questo 30 ottobre 2010.

“Me ne sento venti di meno”.

Sei in gran forma.

“Fammi vedere Forcella, la Sanità, i Quartieri Spagnoli dove batteva il cuore sincero del tifo. Sono nato povero e non lo dimenticherò mai. Fammi vedere la mia gente, quella che è nata povera come me, quella che sa sognare. I ricchi non hanno sogni. Hanno solo il danaro e non sanno sognare. Ne abbiamo fatto piangere di ricchi col Napoli!”.

E’ seduto sul calesse come un re.

“Il mio compleanno, questo compleanno importante dovevo festeggiarlo qui. Napoli non l’ho mai dimenticata. Napoli è nel mio cuore”.

Ha un vestito blu scuro, una camicia scura, una cravatta chiara. Batte i piedi canticchiando un tango argentino.

“Sì, Dalma sta bene. Gianinna sta bene. Sapessi come sono cresciute. Sono la mia vita. Sono nonno. Diego Armando Maradona nonno. Ci pensi? Ma non sono vecchio. Ero diventato vecchio con la droga. Sono rinato. Papà Chitoro sta così e così, ma è contento. E’ contento perché sono rinato. Mamma Tota è sempre la stessa. Lei ai miei occhi non invecchia mai”.

Percorriamo via Caracciolo.

“Non c’è più il mio motoscafo a Mergellina. Quanto tempo è passato? Non è passato nessun tempo perché io non sono mai andato via da Napoli. In tutto il mondo, io e Napoli non ci siamo mai staccati”.

La città sa dell’arrivo. Si levano i primi canti. O mama, mama, mama, sai perché mi batte il corazòn …

“Ho tutti amici, qui, come in nessuna parte del mondo. Qui ho un milione di amici. Non dovevo mai andar via”.

E’ sera quando ci avviamo verso lo stadio. Fuori, è un trionfo di bandiere azzurre e di bandiere argentine.

“Cinque anni fa ho rubato la scena a Ciro Ferrara. Era la sua festa. Lo stadio era pieno. Ero venuto per Ciro, la gente venne per me. E’ incredibile l’amore dei napoletani. Tornavo dopo quattordici anni. Nessuno mi aveva dimenticato”.

La folla grida “Diego! Diego!”. La carrozzella imbocca la discesa degli spogliatoi del “San Paolo”. Sulla discesa, il cocchiere trattiene abilmente il cavallo.

“Ora ci lasciamo. Vado a salutare i compagni. Ma, dimmi, chi è questo cocchiere?”.

Quando gli dico chi è urla di sorpresa e apre le braccia.

“No. Non è possibile. L’ingegnere Ferlaino? Proprio lui?”.

Lui ti portò a Napoli, lui ha voluto riportarti allo stadio per la tua festa.

“Ferlaino è il mio padrone, quando lui vuole io gioco. Te la ricordi la canzoncina che cantavo a Soccavo?”.

Corre negli spogliatoi per abbracciare i compagni, ma il primo che incontra è Carmando.

“Baciami in testa come hai fatto sempre”.

Nel ventre dello stadio giunge l’eco della folla che canta e balla sugli spalti. Vado in tribuna. In curva c’è ancora lo striscione indimenticabile di ventisei anni fa lungo venti metri: “Nel cielo di Napoli ci sono tante stelle, Maradona è la più splendente”. Ci sono le bandiere con lo scudetto.

E’ una serata di stelle ed emozione. Sotto la luce dei fari il prato è di un verde brillante. Deve essere l’umidità. Siamo in novantamila perché c’è gente sino sull’orlo del “San Paolo”. Ed è lo stadio sonoro delle giornate indimenticabili. I canti di gioia e i tamburi della passione popolare. Lo stadio della felicità per un pibe de oro che ora ha 50 anni e viene a festeggiare questo compleanno importante sull’erba delle prodezze indimenticabili. Con un ritmo d’allegria scrosciano gli applausi dell’attesa intensa. “Diego! Diego!”.

C’è movimento sulla scaletta del sottopassaggio. Un boato di gioia scuote lo stadio. O mama, mama, mama.

Eccolo, eccolo.

Ma, prima, compaiono i tuoi compagni dei due scudetti. Solo Giuliani non c’è. Se ne è andato quattordici anni fa, ucciso dal “male africano”. Ci sono tutti gli altri.

Le luci dello stadio si spengono di colpo. Un “oooooh” di sorpresa accompagna il buio improvviso. Un silenzio carico di emozione fa palpitare lo stadio. In cielo luccicano le stelle, novantamila cuori battono più forte. E’ la tensione di una sera memorabile. Con uno scatto metallico, che rompe il silenzio di incantesimo, s’accende una sola luce. Un solo fascio di luce rompe il buio e si ferma là, sulla scaletta del sottopassaggio.

Dove il fascio di luce disegna un cerchio bianco si materializza un uomo-ragazzo, una testa nera che era di riccioli neri da scugnizzo, una barba chiazzata di grigio che era la faccia irresistibile di un carissimo ribelle, il corpo di un giocoliere, un uomo-ragazzo in smoking perché è la tua festa, pibe, in questa notte napoletana. Scintillano gli orecchini. Il magico piede sinistro calcia un pallone azzurro che vola alto, verso l’urlo e la passione di novantamila fedelissimi, proprio come accadde nel pomeriggio di luglio di ventisei anni fa, all’inizio della favola. Nei tuoi occhi le lacrime di una commozione profonda. Nei nostri cuori la felicità di averti qui dove la favola è stata più bella. Si stato ‘o primmo ammore e ‘o primmo e ll’urdemo sarraje pe’ me. E’ intenso, potente, impetuoso il coro-canzone che si leva dallo stadio, l’inno dei giorni radiosi, ‘o surdato ‘nnammurato.

In smoking ti avvii al centro del campo fra i compagni dei due scudetti che hanno le maglie azzurre. Ora le luci dello stadio si accendono tutte. Ora batti il calcio d’inizio della partita di augurio per questo tuo compleanno importante. In smoking. Giocoliere supremo del football, artefice magico, incantatore di occhi e di cuori. Tremolano le stelle in cielo. Si va verso una notte d’incantesimo …

30 ottobre 2010. Se è un sogno, non svegliatemi.
<strong>Mimmo Carratelli</strong>

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