Gorbaciof, non si rubano
così i soldi alla Fenech

A parte il fatto che la scena clou è girata a via Lepanto, a due passi dalla casa dove sono nato e vissuto per vent’anni, il film “Gorbaciof” è degno compare della Corazzata Potemkin di fantozziana memoria. All’uscita del cinema non ho potuto fare a meno di andare a verificare da chi fosse stato prodotto […]

A parte il fatto che la scena clou è girata a via Lepanto, a due passi dalla casa dove sono nato e vissuto per vent’anni, il film “Gorbaciof” è degno compare della Corazzata Potemkin di fantozziana memoria. All’uscita del cinema non ho potuto fare a meno di andare a verificare da chi fosse stato prodotto e mi si è stretto il cuore quando ho scoperto che Stefano Incerti e Toni Servillo avevano spillato un bel po’ di soldini alla povera Edvige Fenech, un mito per tutti noi.
Vabbè, cerco di essere serio. Un film tristemente inutile. Che non capisco dove volesse andare a parare, che senza Servillo non arriverebbe nemmeno in sala perché poi chi la sederebbe la rivolta di massa? Non a caso la pellicola è tutta incentrata su di lui, con tanto di voglia sulla fronte come l’uomo della perestrojka. Il film comincia con la sua camminata guascona indossando giacca a quadretti e maglietta bordeaux (mise che non cambierà per tutto il film) nella zona Ferrovia. Entra a Poggioreale e capisci che fa il ragioniere del carcere. Armeggia coi soldi nella cassaforte e poi va a giocare nel retrobottega di un ristorante cinese (con figlia bona che però – avrebbe detto il mitico Alduccio – non ci fa vedere mai niente, manco una coscia), dove al tavolo di poker spadroneggia Geppi Glejeses (spero si scriva così). La storia non c’è. E’ inutile che la cerchiate. Sarebbe quella di quest’uomo solo – a un certo punto va al cimitero – con una voglia alla Gorbaciov, che non parla mai, gioca, e si innamora della cinese di cui non capisce una parola.
Di Incerti ho apprezzato la voglia di inquadrare un’altra Napoli. Non c’è mai il mare; quando Servillo porta la sua bella in giro le fa vedere il centro commerciale di Capodichino, o persino lo zoo, mica via Calabritto. E questo mi è piaciuto, però il resto non c’è. Tranne la mimica sublime di Servillo (anche se a un certo punto la guardia carceraria gli dice – non senza ragione – lievete stu sorriso a’ strunz dalla faccia”). Il finale lo capisci ancora prima di sederti – e questo per me non è un problema – però se lo copi pari pari da Pulp Fiction mi incazzo. E non poco. L’unica scena bella è quella di Castel Capuano, con Gorbaciof che apre le porte una a una fino a trovare lo strozzino togato. E basta. Ne è passata di acqua sotto i ponti dal “Verificatore”, grande opera prima di Incerti. Non so, paradossalmente temo che Servillo stia involontariamente contribuendo a immiserire il nostro cinema: piazzi quella faccia da dio davanti alla telecamera e hai risolto. Non è proprio così semplice. E dire che il film lo hanno scritto Incerti e De Silva. E io, se non si era capito, sono uscito dal cinema incazzato come una biscia.
Massimiliano Gallo

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