E allora da malato
riprendo a far tabelle

In Febbre da cavallo c’è una scena che meglio di ogni altra rende l’idea di cosa fosse – o forse sia, ormai non frequento più gli ippodromi – il mondo dei cavallari. E’ quando Gigi Proietti, alla sbarra in tribunale, si spende in quel monologo che descrive la personalità malata del giocatore. Davanti, tra l’altro, […]

In Febbre da cavallo c’è una scena che meglio di ogni altra rende l’idea di cosa fosse – o forse sia, ormai non frequento più gli ippodromi – il mondo dei cavallari. E’ quando Gigi Proietti, alla sbarra in tribunale, si spende in quel monologo che descrive la personalità malata del giocatore. Davanti, tra l’altro, a un memorabile Adolfo Celi.
La scena mi è tornata in mente leggendo l’articolo del professor Trombetti. Che meglio di ogni altro fa capire chi sia il malato di calcio, il tifoso, l’irriducibile. Quello che nottetempo si alza, va in cucina o in una stanza, prende un bloc notes e comincia a fare tabelle, calcoli e pronostici per accreditare la tesi che in fondo, sì, si può fare, magari sotto lo sguardo stralunato della disgraziata di turno che ci guarda e pensa che chiamare il 118 in fondo non sarebbe poi una cattiva idea. Ma il malato se ne frega, e in fondo ci si attacca a tutto, persino a uno studio che dimostra come in un campionato la probabilità che non vinca la squadra più forte è del 78%.
Ora io non lo so, temo che la nostra percezione sia alterata dall’ultima prestazione offerta contro la Roma. Non vediamo che abbiamo una panchina corta, non ricordiamo più che cosa sia la tensione che si vive quando si sta ai piani alti, non pensiamo più che abbiamo una difesa che tranne contro i giallorossi ha sempre subito gol in campionato. E tanto altro ancora.
Epperò il professor (che pure ha indicato due rinforzi imprescindibili) un punto lo ha colto. Perché è vero che ciascuno di noi, persino i più scettici, in quella notte tra domenica e lunedì, più di un pensierino lo hanno fatto. Siamo malati, altrimenti non ci ritroveremmo qui a discutere quotidianamente di Lavezzi, Mazzarri, il presidente e compagnia. E da malati cronici – senza alcuna voglia di guarire, peraltro – la nostra patologia ce la coccoliamo. E allora magari una di queste notti riprendo in mano il mio amato bloc-notes. In fondo è sempre rimasto lì, sul tavolo in cucina.
Massimiliano Gallo

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