Playstation del cavolo
Il Napoli non è nato ieri

Scusate se mi intrometto sulla playstation. E’ vero che negli ultimi sedici anni abbiamo, e non sempre, spezzato le reni al Cittadella, all’Albinoleffe, al Martinafranca e al Gela, senza più un passaporto per l’Europa, ma Bigoncino ha steccato sulla playstation e il Liverpool. Riccardino, cuor di leone nello smaltimento del surplus azzurro (Pià al Portogruaro, […]

Scusate se mi intrometto sulla playstation. E’ vero che negli ultimi sedici anni abbiamo, e non sempre, spezzato le reni al Cittadella, all’Albinoleffe, al Martinafranca e al Gela, senza più un passaporto per l’Europa, ma Bigoncino ha steccato sulla playstation e il Liverpool.
Riccardino, cuor di leone nello smaltimento del surplus azzurro (Pià al Portogruaro, ma soprattutto Rinaudo alla Juventus, che colpi!), non può ridurre la storia del Napoli (84 anni) all’ultimo periodo di disagi e sventure.
C’è questo difetto nel Napoli di De Laurentiis, la cancellazione del passato, come se la nostra storia sia cominciata sette anni fa quando da Los Angeles, via Capri, Marc’Aurelio arrivò su un cavallo bianco per diventare il principe azzurro sul trono del Napoli. Ora, io rispetto il figlio Riccardo per il padre Albertino, però la storia della playstation mi ha disunito.
In Europa il Napoli non è l’ultimo arrivato, senza contare che la nostra storia europea cominciò con Sallustro. Lasciamo stare. A noi della vecchia guardia che col Napoli abbiamo girato il mondo (e non andavamo all’estero quando a Verona ci consigliavano di lavarci e invocavano il Vesuvio a farci fuori?) questa trasferta di Liverpool, che avremmo visto solo sulla playstation, non fa sensazione.
Ma lo sanno Riccardino e il prode Aurelio quanto abbiamo viaggiato con le maglie azzurre? A Castelvolturno, oltre a insegnare i calci di punizione e i corner, in cui siamo molto difettosi, si dovrebbe insegnare la storia del Napoli, che non è solo il Napoli di Maradona, perché tutti, dirigenti, tecnici e giocatori, apprendessero questa inimitabile e lunga storia per capire che cos’è il Napoli, che cos’è questa storia di football a perfetta immagine della città. Storia e storie di sogni e delusioni, di ambizioni e cadute, di vittorie rare (e perciò indimenticabili) e di retrocessioni, di gloria e baldoria, di felicità sofferte e di infelicità così ben assorbite da renderci unici e fieri. Vincere sempre è una noia. Il primo scudetto è stata una festa, il secondo già ci sembrava una banale ripetizione.
Liverpool ci fa un baffo a noi che siamo stati oltre il circolo polare artico, a Bodoe, strapazzando i norvegesi del Glimt con due gol di Speggiorin (capito: Speggiorin!) ai tempi in cui, oltre il fumo di mille sigarette, appariva il petisso. Liverpool ci fa un baffo a noi che siamo stati sul mar Baltico, a Riga, fondata da un vescovo lettone, tornandocene con un gol vincente di Buso. Liverpool ci fa un baffo a noi che siamo stati sulla costa del Galles, a Bangor, un altro posto che il Napoli ha reso famoso giostrando in Coppa delle Coppe, quasi mezzo secolo fa. Liverpool ci fa un baffo a noi che siamo stati a Nis con Rino Marchesi, città serba adagiata sulle rive di un fiume, famosa per avere dato i natali all’imperatore Costantino e per l’apparizione del Napoli nello 0-0 col Radnicki. Liverpool ci fa un baffo a noi che siamo stati nell’impronunciabile città ungherese di Székesfehérvàri, che poi significa più gentilmente Albareale, non lontana dal lago Balaton, per giocarcela col Videoton e fregarlo con un gol di Braglia, il memorabile Giorgio Guitar. E vogliamo ricordare il fango di Ostrava, città di tre fiumi e molto carbone, cuore d’acciaio del comunismo ceko quando c’era ancora il comunismo e c’era la Cecoslovacchia, e infilammo il Banik nientemeno che con Ferradini, l’insulto maggiore per il football marxista-leninista?
Sulla playstation neanche ci sono questi posti. E allora che cos’è questa eccitazione per Liverpool per noi che, con le maglie azzurre, abbiamo girato i casinò di Londra e di Baden Baden, i canali di Amsterdam, noi che siamo stati a Edimburgo, nella gentile Odense, a Burnley dove scoprimmo il Bingo, nella polacca Wroclaw col grande porto sul fiume Oder, a Swindon nel sud-ovest dell’Inghilterra, città natale di quella biondona sfacciata di Diana Dors, e Dio stramaledica gli inglesi per tutto quello che successe tra noi e lo Swindon Town.Scusate, se mi sono lasciato andare. Ma nessuno che arriva oggi nel Napoli può cancellare la nostra giovinezza azzurra, la storia di una passione infinita e di viaggi d’allegria perché siamo stati una banda di allegri giornalisti, dietro alle maglie azzurre. Quando mi capitava di andare al seguito di Inter e Milan nelle coppe, con i colleghi di Milano, mi veniva lo sconforto. Per dire, erano stati tante volte in Spagna e non conoscevano il chorizo, l’inimitabile salsiccia piccante spagnola di cui, dopo avergliene propinato la scoperta, riempirono le valigie del ritorno in Italia.
Perdonate questa intrusione del vecchio cronista di gol e di rabone. Ma, perdiana, il Napoli non è nato ieri.
<strong>Mimmo Carratelli</strong>

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