Somiglia a Veltroni il finto buono Prandelli

La faccia è quella giusta. Triste e perbene. Una faccia segnata dalle disgrazie della vita. Molto diversa da quella guascona e strafottente di Marcello Lippi. Gli italiani potranno scommetterci, non ci saranno più citazioni di Jesse James e di cavalli che si contano al palo durante le conferenza stampa della Nazionale.Si torna indietro, si torna […]

La faccia è quella giusta. Triste e perbene. Una faccia segnata dalle disgrazie della vita. Molto diversa da quella guascona e strafottente di Marcello Lippi. Gli italiani potranno scommetterci, non ci saranno più citazioni di Jesse James e di cavalli che si contano al palo durante le conferenza stampa della Nazionale.Si torna indietro, si torna a un’Italia di provincia – Orzinuovi, Brescia – l’Italia che in fondo porta ancora avanti questo Paese. Un’Italia incarnata dal volto di Cesare Prandelli, da ieri nuovo commissario tecnico degli azzurri. È un tipo che piace, Prandelli. Per la sua storia personale – quella fuga da Roma per stare vicino alla moglie malata e poi il lutto – e per il suo stile. Un po’ ipocritamente buonista per i nostri gusti con quel suo battersi per il terzo tempo calcistico (il saluto tra le squadre di calcio al termine dell’incontro in stile rugby) per poi non dire nulla quando la sua Fiorentina segnò a Palermo prima con un avversario per terra e poi con la mano di Gilardino. Un po’ alla Veltroni. Ma sono peccati veniali. A Firenze Cesare si è fatto amare. Non ha vinto niente, ma che cosa avrebbe potuto vincere, d’altronde. Due qualificazioni alla Champions e una agli ottavi di finale (eliminati dal Bayern e dall’arbitro Ovredo) sono uno scudetto per la squadra di Della Valle. E poi ha quasi sempre avuto la parola giusta al momento giusto. Non si è mai spazientito, nei dopo-partita, alle irritanti osservazioni del tifoso Mario Sconcerti che avrebbe voluto vincere sempre e comunque 4-0 su ogni campo. Insomma, Cesare ci sa fare. E non a caso ieri ha prima salutato Lippi, ricordando che è un tecnico campione del mondo e che ha lasciato un attaccamento particolare alla maglia azzurra, ma poi ha anche citato Bearzot, l’altro cittì iridato, per alcuni quello vero, non risparmiando una frecciatina al brizzolato. «A quale ct mi ispiro? Ho la memoria storica dell’82, e quindi Enzo Bearzot sarà per me un riferimento straordinario, in quella squadra c’erano tanti miei compagni di squadra. E poi mi piace il fatto che quando ha deciso di staccare con la Nazionale ha staccato veramente, quindi grandi complimenti a Bearzot». E chi vuol capire capisca (altra stilettata veltroniana). Ha parlato di umiltà, Prandelli, parola che era stata accantonata chissà dove dalle parti di casa Italia. E di meritocrazia, altro tabù nell’ultimo biennio Lippi. Come al solito, Cesare ha giocato il ruolo che più gli si addice, quello del semplice. «Ero tra gli allenatori liberi e hanno chiamato me». Come a dire, passavo di qui per caso, loro mi hanno visto dalla finestra ed eccomi qui. Contratto quadriennale da 1,2 milioni all’anno. Una squadra di club l’avrebbe certamente trovata visto che il Milna ha preso Allegri e la Juventus Delneri. Lui non è certo da meno. «Non pensavo alla Nazionale, ma quando ho ricevuto la chiamata ho detto subito di sì». Ha aperto agli oriundi e in realtà ha chiuso soltanto a Totti, ma per motivi anagrafici. Per Balotelli e Cassano ha tirato fuori la classica frase sui calciatori di qualità che possono giocare sempre insieme. Il debutto della sua Nazionale sarà il 10 agosto a Londra, probabilmente in amichevole contro la Costa d’Avorio.
<strong>Massimiliano Gallo
</strong>(da il Riformista)

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