Tessere del tifoso
e il calcio che sparisce

Guccini aveva nostalgia per quelle contro un muro. Io – su un terreno casto e puramente calcistico – per quelle domeniche mattina quando in base all’umore si decideva se andare allo stadio oppure no. Abitavo a Fuorigrotta, di fronte al tempio, e si andava a fare la fila ai botteghini. Oggi non si può più. […]

Guccini aveva nostalgia per quelle contro un muro. Io – su un terreno casto e puramente calcistico – per quelle domeniche mattina quando in base all’umore si decideva se andare allo stadio oppure no. Abitavo a Fuorigrotta, di fronte al tempio, e si andava a fare la fila ai botteghini. Oggi non si può più. Assistere a una partita dalle gradinate ormai è un’impresa. Serve un certificato di residenza, un altro di buona condotta, referenze, e tra un po’ persino il gruppo sanguigno; per lo psicoreato si stanno attrezzando.
Il calcio in Italia non è considerato più uno spettacolo e, limitandosi a una lettura molto superficiale del fenomeno, sembra non rientrare più nelle logiche puramente consumistiche. Eppure il sol dell’avvenire è tramontato da un bel po’. La verità è che pagare per comprare il biglietto della partita non interessa più ai club: è poco redditizio. Frutta molto di più il calcio addivanato raccontato da telecronisti che, non si capisce perché, urlano sempre, e condito da continui spot.
Oggi allo stadio ci vanno solo gli ostinati, i romantici e quelli che sulla poltrona proprio non ci vogliono finire. Quelli che, in fondo, non vorrebbero rassegnarsi alla tessera del tifoso. Che vorrebbero andare allo stadio come si va al cinema.
Non so voi, ma io ho apprezzato le parole pronunciate ieri da Daniele De Rossi. <Se andiamo avanti con la tessera del tifoso, è necessaria anche quella del poliziotto. Per quanto mi riguarda sono contrario. Se fosse sufficiente a risolvere i problemi, potrei anche accettarla. Ma non servirà a far sparire la violenza dai nostri stadi. Non è giusto schedare una persona prima che abbia acceso un fumogeno, o tirato un sasso. Il calcio è ostaggio della televisione, degli sponsor, forse anche degli ultrà, che però sono la parte positiva del nostro sport. Chi va allo stadio con il coltello in tasca non sta bene, così come quel poliziotto che ha preso a pugni un ragazzetto su un motorino dopo la finale di coppa Italia solo perché indossava una maglietta rossa>.
Dichiarazioni forti, non c’è che dire. Sbagliate e inopportune nell’accostamento poliziotti-ultrà. Anche un po’ banalotte, visto che senza gli sponsor e la tv, De Rossi non avrebbe lo stipendio che ha solo perché sa tirare due calci a un pallone. Ma il problema c’è. E’ inutile far finta di niente. La tessera del tifoso nasce anche per questo, per svuotare gli stadi, perché il consumatore di calcio rende di più a casa. Sul divano. E il dibattito in Italia, come al solito, non c’è. Anche perché la questione è posta in base alla contrapposizione bene-male, legge-violenza, ossia polizia-ultrà. Messa così, non c’è partita, ovviamente. Ma io credo che la questione sia più ampia.
Personalmente, ho nostalgia per quegli aeroplani che sovrastavano il San Paolo con le scritte pubblicitarie, per quel silenzio che precedeva la partita (non come oggi, che ci dobbiamo sorbire quello speaker che urla come uno ossesso: annientatelo, per cortesia), persino per quelle partite in cui c’erano tifosi avversari, e per quelle trasferte in allegria senza le quali Maurizio de Giovanni non avrebbe potuto scrivere il suo fantastico libriccino su Juventus-Napoli 1-3. Questo è il sale del calcio. Non Caressa (o chi per lui, per carità) che urla per novanta minuti e precede l’inizio delle partite con quelle sue ridicole introduzioni.
<strong>Massimiliano Gallo </strong>

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