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De Laurentiis si è ripreso il consenso ma il tema di Napoli senza rappresentanza mediatica esiste

Ha riconquistato i tifosi nel modo più semplice: attaccare la stampa del Nord. Detto questo, ha colto un punto: perché Napoli non è in grado di rappresentarsi mediaticamente?

De Laurentiis si è ripreso il consenso ma il tema di Napoli senza rappresentanza mediatica esiste
Aurelio De Laurentiis (foto Ciambelli)

Ha dettato l’agenda setting

Due partite contro il Real Madrid e per due volte Aurelio De Laurentiis si è preso la scena. Come dicono gli esperti di comunicazione, ha dettato l’agenda setting. “Venitemi a prendere”. A Madrid ha scalzato la prestazione della squadra e si è preso la scena con la “cazzimma” – i termini napoletani fanno molto pittoresco al di sopra del Garigliano – e quelle parole che da tutti sono state interpretate come un attacco a Sarri. Anche dalla stragrande maggioranza dei tifosi del Napoli.

Il papponismo

De Laurentiis ha vissuto, come spesso gli accade, settimane teoricamente difficili a Napoli. Teoricamente perché lui era a Los Angeles e perché, per nostra fortuna, non subisce poi più di tanto l’ostilità dell’ambiente. Ma a Napoli, lo scriviamo per chi non è addentro alle cose partenopee, De Laurentiis non è così amato. Anzi. Uno degli aspetti socio-culturali più interessanti di questi anni è la nascita della corrente filosofica del papponismo. De Laurentiis è additato come il pappone, e non solo dal “popolo”. Come si usa dire, professionisti, alto borghesi, avvocati, magistrati, primari, giornalisti. Tutti lo chiama pappone. Non lo amano. Secondo il Napolista – lo abbiamo scritto più volte – sono semplicemente invidiosi oltre a non avere una cultura imprenditoriale. In base al principio che il Napoli è di tutti, vorrebbero tifare con i soldi suoi e e soprattutto vederlo indebitarsi per amore della maglia.

Un gioiello comunicativo

Detto questo, ieri sera la comparsata televisiva di De Laurentiis a Mediaset Premium è stata un gioiello comunicativo. Gli ha consentito di azzerare le tre settimane di ostilità e di riappropriarsi di buona parte del consenso dei tifosi. È uscito dall’angolo. Non c’è metodo più semplice per raggiungere l’obiettivo: attaccare la stampa del Nord, vellicare il sentimento – diffuso – di accerchiamento culturale che contraddistingue in maniera sempre più intensa Napoli. Un sentimento che, come ovvio, appoggia anche su una verità. Non è immaginazione, illusione. Noi del Napolista abbiamo scritto articoli e articoli sul trattamento mediatico ricevuto, ad esempio, da Sky Sport o dalla stessa Gazzetta dello Sport.

I luoghi comuni

Quando si scrive del Napoli, è ahinoi inevitabile imbattersi in una sfilza di luoghi comuni. Oggi, ancora per fare un esempio, nel solo pezzo di Luigi Garlando sulla Gazzetta, ci siamo imbattuti in pizza, mandolino, Quartieri Spagnoli, “una città abituata a lavorare, a inventare arte, a sognare rasoterra”. Raramente abbiamo letto di panettoni, ossobuchi, Parco Lambro leggendo di Milan e Inter. È altresì vero che l’odio nei confronti del Napoli e dei napoletani non l’ha inventato De Laurentiis. I cori negi stadi li sentiamo da anni. E avremmo anche gradito che De Laurentiis si opponesse – sia pure con un voto simbolico – al depotenziamento dei cori di discriminazione territoriale che fu, tre anni fa, il primo provvedimento approvato a furor di presidenti dall’allora neoeletto Tavecchio (adesso neoriconfermato, non col voto di De Laurentiis).

Come Berlusconi nel 2006

Detto questo, e nonostante le accuse di essere al soldo del presidente del Napoli, non ci mancano gli occhi per constatare che il Napoli non ha perduto contro l’Atalanta per colpa della Gazzetta e che è quantomeno paradossale pensare che tutta una città sia stata condizionata da un quotidiano che peraltro – come detto dallo stesso De Laurentiis non senza verità – non acquista e non legge. De Laurentiis si è ripreso il suo popolo. Una mossa che ci ha ricordato quella di Berlusconi nel 2006, quando disse che “chi vota a sinistra è un coglione”. Ne nacque il solito putiferio, i professionisti dell’analisi scrissero e parlarono di autogol. In realtà, come poi fu chiaro a urne aperte, fu un messaggio identitario per la sua parte politica e richiamò alle urne quegli scettiche che magari avevano deciso di astenersi.

De Laurentiis ha fatto la stessa cosa. Con un passaggio che abbiamo già definito grave – e non per corporativismo – nei confronti di un giornalista della Gazzetta che in settimana ha subito un atto intimidatorio (non sappiamo ad opera di chi).

Perché Napoli non ha un giornale?

Tornando al tema principale, ai giornali del Nord, ci sarebbe da fare qualche altra considerazione. E cioè: perché il Sud o comunque Napoli non ha giornali propri? Perché non ci sono editori napoletani? Il Mattino è il giornale della città ma l’editore è romano. Proprio come De Laurentiis. Le altre importanti realtà giornalistiche – Repubblica, Corriere del Mezzogiorno, oltre a Rai, Mediaset – non hanno editori napoletani. Sono costole di industrie o gruppi editoriali nazionali. Ci sarebbe da interrogarsi sul perché Napoli non riesca a rapprsentare sé stessa, a creare anche a livello mediatico un o più organi di informazione in grado di offrire un punto di vista alternativo e autorevole allo stesso tempo. Questo è un tema nevralgico. Che tira in causa la capacità imprenditoriale e di fare squadra di Napoli. Un discorso più impegnativo del semplice abbaiare alla stampa del Nord. E che ha molto a che fare con l’etichettare chi ottiene successo come un pappone.

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