“Il maestro” è una lezione garbata ai genitori che ipotecano le vite dei figli

Non è un film sul tennis, quello solo le Williams potevano farlo come si deve. È un romanzo di formazione, secondo noi riuscito

il maestro

Mc Roma 11/11/2025 - premiere film ‘Il Maestro’ / foto Mario Cartelli/Image nella foto: Pierfrancesco Favino

Non c’entra granché il tennis con il film “Il maestro”. Sì il ragazzino che il padre vorrebbe diventasse un campione, gioca a tennis. Ma sarebbe potuto essere anche calcio o altro. Cambia zero. Ha ragione chi ha scritto che è come un romanzo di formazione. Il tema è la scoperta della vita da parte di un ragazzino. E sullo sfondo il tema che fu di “Bellissima” di Luchino Visconti. Questi genitori che vogliono ipotecare le vite dei figli. Andrea Di Stefano – il regista – ci riesce. Lo fa con garbo. Non si accanisce. La storia si snoda bene, finisce meglio. Al punto che una parte di te alla fine vorrebbe saperne persino di più. La metafora del gioco d’attacco e di difesa funziona. Il padre lo vuole pallettaro, lo cresce modello Agassi. Il maestro – tennista talentuoso e uomo autolesionista – gli mostra che c’è un altro modo di stare al mondo e anche sul campo da tennis. Più rischioso, sicuramente più doloroso, probabilmente però più elettrizzante. E il ragazzino capisce che poi non è vero che si diverte solo quando vince. E che l’esistenza non è solo tirare le palle alte sopra la rete aspettando che l’avversario sbagli.

E sì Favino fa Favino, si impossessa del film. Ma non c’è niente di strano. Lo riempie bene lo schermo. Tutto serve al piccolo Felice per uscire dall’ombelico familiare. In fondo le settimane col maestro Gatti sono un corso accelerato di conoscenza del mondo.

Il tennis in quanto tale, è sport complicato da rendere sullo schermo. Non ci è riuscito quasi nessuno, nemmeno il film su Borg (era in minima parte anche su McEnroe). A memoria, l’unica pellicola tennistica riuscita è quella sul papà delle Williams magistralmente interpretato da Will Smith. Ma fu un film seguito dalle figlie Serena e Venus che ne furono produttrici esecutivi. Poi c’è il caso straordinario de “Una squadra” la serie tv su Panatta e quell’Italia là: ma lì non è solo tennis, è antropologia, è il racconto di un altro mondo. Non a caso Matteo Garrone – che da ragazzo ha giocato a livelli medio-alti – ha fin qui sempre evitato di girare un film sul suo sport preferito. E così ha fatto Di Stefano un altro che da ragazzino con la racchetta ci sapeva fare. Ha utilizzato il tennis per raccontare altro. Con il merito di aver riportato Edwige Fenech sullo schermo. E anche Dora Romano (lei però non era mai sparita) che non si discosta tanto dalla sboccatissima signora Gentile de “È stata la mano di Dio”.

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