Lang e Neres prigionieri, non della panchina, ma di un’idea di non-gioco che li ha resi invisibili
Il gioco, se così si può chiamare, ha avuto il passo stanco di chi sa di dover fare, ma non sa bene come.

Napolis Dutch forward #70 Noa Lang celebrates after scoring a goal unvalidated by the Var during the Italian Serie A football match between Torino and Napoli at The Grande Torino Stadium in Turin on October 18, 2025. (Photo by MARCO BERTORELLO / AFP)
Ci sono serate in cui il calcio ti offre la partita, e altre in cui ti vende la partita. Questa, al cospetto dell’Eintracht, è appartenuta alla seconda categoria. Non un calcio di protesta, ma un calcio che protesta, contro la propria natura. O forse contro un’idea di calcio che vorrebbe la qualità sopra la fatica, il lampo sopra l’ingranaggio. Ma il Napoli è andato in campo a dimostrare che anche una statuina di gesso, se messa al riparo dal vento, può fare la sua figura. Si sfalda, certo, si scheggia, ma non si rompe. E il paradosso è tutto qui, che la statuina si regge in piedi non per il genio, che pure avrebbe, ma per la paura di cadere.
Il gioco, se così si può chiamare, ha avuto il passo stanco di chi sa di dover fare, ma non sa bene come. I rimbalzi della palla erano l’eco di una vitalità assente, un’inerzia che ha fatto pensare non tanto a una partita di pallone, ma a una lezione di geometria bloccata. L’Eintracht, dal canto suo, ha fatto il suo, il suo minimo sindacale, giusto per meritarsi il punto e la pagnotta. Che poi la pagnotta fosse di pane raffermo, è un altro discorso. Che poi l’antipasto sia stato da sboroni in cerca di vitalità, va bene pure, visto che si sono portati un punto a casa, dopo sonore bastonature.
L’assenza di Lukaku, non più semplice assenza, ma assenza-sistema, si è sentita come un dito nella piaga. Non una ferita, ma un’amputazione. L’uomo Vitruviano di Antonio, il solo a dare polvere al suo sparo. E Lang e Neres, alternative di lusso, sono rimasti prigionieri, non della panchina, ma di un’idea di non-gioco che li ha resi invisibili, come fantasmi in un corridoio vuoto. Entrano e si dimenano, ma senza l’empatia giusta. Elmas, jolly forzato, ha messo la buona volontà, si è affannato, ha rincorso le ombre, ma con il risultato di un sarto che cuce un abito con ago e filo, ma senza stoffa, perché sempre fuori ruolo. E De Bruyne, leader tecnico e faro, è stato un desiderio, un lusso che il Napoli, o forse questo Napoli, non ha pesato ed ora ne sente il bisogno.
Così si è arrivati al finale, a quel 0-0 che è la negazione del calcio, come la pubblicità che promette il mondo ma ti vende un prodotto inutile. Il Napoli, con la sua difesa solida e il suo attacco assente, ha dimostrato che si può essere efficaci a metà, un po’ come un bicchiere mezzo pieno, o mezzo vuoto, a seconda di chi lo guarda. La ritrovata solidità di Rrahmani è la cosa migliore, certo, ma è un po’ come dire che la cosa migliore di una sinfonia è il silenzio tra una nota e l’altra. Non è consolatorio, ma è qualcosa.
Per il resto, resta la paura. E la sensazione che il Napoli di oggi sia l’incubo di Adorno e Horkheimer, la negazione dell’arte in nome di una produzione che si accontenta del minimo. O forse, più semplicemente, è solo una partita finita 0-0, e non c’è bisogno di scomodare la scuola di Francoforte. Magari basta un buon vino, e un po’ di silenzio, a far passare la noia. O sarebbe bastato che Anguissa, McTom, Di Lorenzo, l’avessero buttato dentro anziché pagare il prezzo ad una precaria lucidità.











