Come ha fatto il Barcellona ad accumulare debiti per un miliardo e mezzo senza fallire?

Semplice: vende il futuro per pagare il presente, scrive in una lunghissima analisi The Athletic. "Un viaggio economico a suo modo affascinante"

laporta barcellona

Mg Barcellona (Spagna) 12/03/2024 - Champions League / Barcellona-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Joan Laporta

Chris Weatherspoon è un giornalista finanziario, specializzato in football americano soprattutto. E’ un commercialista che usa la sua competenza professionale per esplorare il mondo finanziario dietro lo sport, e per Athletic si sta dedicando ad approfondire i segreti delle grandi società europee. Il viaggio nello sprofondo del Barcellona tenta di rispondere ad una delle grandi domande del calcio contemporaneo: come ha fatto a ridursi così? E anche: come diamine fa ad andare avanti? L’analisi è lunghissima e corredata di molti dati e grafici. Nella sua completezza è qui, noi la riassumiamo.

Dopo anni di caos, il Barcellona sembra aver ritrovato un minimo di stabilità sportiva – un’altra Liga vinta, una semifinale di Champions dopo sei anni – ma le fondamenta economiche del club restano fragili e complicate da decifrare.

Tutto parte nel 2017, con la cessione di Neymar al Psg per 222 milioni di euro, la più ricca cessione della storia. Invece di reinvestire con prudenza, il Barça si è lanciato in una corsa folle di spese: quasi un miliardo in trasferimenti (Coutinho, Dembélé, Griezmann) e un contratto faraonico a Messi (oltre 500 milioni lordi in quattro anni). Il monte stipendi è esploso, arrivando a oltre 80% dei ricavi, e la pandemia ha distrutto gli introiti da stadio. Risultato: un buco di 555 milioni di euro nel 2020-21, il peggior bilancio mai visto nel calcio.

Laporta, tornato presidente, ha ovviamente accusato i predecessori ma ha poi per andare avanti si è inventato le famose “palancas”, le leve economiche: vendita del 25% dei diritti tv della Liga per 25 anni al fondo americano Sixth Street (667 milioni incassati subito); cessione di quote di “Barça Studios” (poi Barça Vision) a società come Socios e Orpheus Media per altri 200 milioni, di cui una parte mai realmente incassata; nuove formule di finanziamento, come la vendita trentennale di posti vip al Camp Nou (altri 100 milioni). Tutte mosse pensate per gonfiare i bilanci e rispettare i parametri della Liga, più che per costruire sostenibilità. Molte di queste entrate erano una tantum, o persino virtuali.

Nel frattempo, il maxi progetto Espai Barça, cioè la ristrutturazione del Camp Nou e dell’area circostante, è diventato un pozzo senza fondo: costi saliti da 600 milioni a quasi 1 miliardo, con ritardi, stadio ancora chiuso e incassi dimezzati durante l’esilio all’Olimpic. Per finanziarlo, il club ha accumulato un debito lordo di circa 1,45 miliardi di euro, il più alto del calcio mondiale.

Oggi il Barça dichiara una “ripresa economica”, ma la realtà è che sopravvive vendendo il futuro per pagare il presente. Il ritorno al Camp Nou e il successo sportivo sono vitali per non far saltare il castello contabile costruito sulle palancas.

Scrive The Athletic: “È troppo presto per dire che il Barcellona è un club che si è ripreso dal baratro in cui è sprofondato solo pochi anni fa. I ritardi al Camp Nou non sono indicativi di una gestione impeccabile. Né lo sono le battaglie in corso per conformarsi alle regole sia in patria che all’estero. Le passività a breve termine superano ancora di gran lunga le attività. La redditività complessiva rimane elusiva. Il club continua a cercare mezzi alternativi per raccogliere fondi; il tentativo recentemente annullato di ospitare una partita di Liga tra Barcellona e Villarreal a Miami, in Florida , era attraente in gran parte per i soldi che avrebbe generato”.

“Eppure, per certi versi, la coraggiosa strategia di Laporta sta funzionando come sperato. In campo, il Barcellona è di nuovo competitivo e di nuovo divertente. Sotto la guida dell’allenatore Hansi Flick, vanta una squadra giovane e promettente, ricca di valore. La lezione ovvia, che si sta rivelando oggi come vent’anni fa, è che è meglio puntare sul proprio settore giovanile piuttosto che investire nel mercato. Quest’ultimo li ha quasi rovinati. Il percorso da quella follia in poi è stato affascinante”.

Correlate