Il Times celebra il record del miglio di El Guerrouj: 26 anni ed è ancora lì (lo stabilì a Roma)

Bannister, Ryun, Coe, Cram, Ovett, nomi che raccontano mezzo secolo di atletica e di civiltà sportiva. Oggi gli atleti sono più forti, più scientifici, ma forse meno liberi.

El Guerrouj

Hicham El Guerrouj of Morocco carries his national flag after he won the men's 1500m final 27 August 2003, during the 9th IAAF World Athletics Championships at the Stade de France in Saint-Denis outside Paris. Mehdi Baala of France took home silver and Ukrainian Ivan Heshko won the bronze AFP PHOTO FRANCK FIFE (Photo by Franck FIFE / AFP)

In una fresca sera romana, nell’ultima estate del secolo scorso, un giovane proveniente dalla provincia marocchina degli agrumi tagliò il traguardo e corse tra le braccia del Valhalla. Il tempo: tre minuti, 43 secondi e 13 centesimi. La distanza: un miglio (1,6 chilometri). Il premio: l’immortalità.

Il Times ricorda così un record che appartiene a un ristretto club di corridori: il miglio: Bannister, Ryun, Coe, Cram, Ovett — nomi che raccontano mezzo secolo di atletica e di civiltà sportiva.

Hicham El Guerrouj il quattordicesimo uomo a segnare il record

Quel giorno del 1999, Hicham El Guerrouj divenne il quattordicesimo uomo del dopoguerra a detenere il record mondiale del miglio. Con lui, quella distanza antica e quasi poetica raggiunse il suo culmine. Da allora, nessuno è più riuscito a correre più veloce quella distanza. Il miglio era un’invenzione romana, un’unità di misura militare basata sulla distanza che un legionario ben addestrato poteva marciare in duemila passi. Bannister, percorrendo la distanza in 700 falcate leggere in un pomeriggio di maggio sulla pista dell’Iffley Road di Oxford, con scarpe di pelle di canguro che sfioravano la cenere pressata con grazia sacrale, lo trasformò da fatica imperiale in mito.

Superare i propri rivali e predecessori nello sport significa, di solito, separarsi da loro. La vittoria è una forma di solitudine. Ma qui era diverso. Il miglio era un club, un’idea condivisa: chi riusciva nell’impresa non era solo un primatista, ma un iniziato. Il fascino del miglio stava nella sua semplicità: una pista, un cronometro, una distanza che tutti possono comprendere. Ma anche nella regolarità con cui il record si rinnovava, quasi un respiro collettivo del Novecento: da Bannister nel 1954 a El Guerrouj nel 1999, migliorato nove volte in 45 anni. Poi, silenzio. È da 26 anni l’uomo più veloce sulla distanza; nei 26 anni precedenti, il record era cambiato di mano nove volte.

Il record del miglio è ancora lì

“Che il record del miglio sia ancora lì, nonostante noi siamo così forti, con le nuove tecnologie, le scarpe moderne, i pacemaker: è incredibilmente impressionante”, dice oggi Josh Kerr, campione del mondo dei 1500. “Stiamo dando tutto, ma è un record che va rispettato.” Intorno a quel mito, negli anni, è nata una vera confraternita. Nel 2019, a Monaco, gli ex detentori si ritrovarono per ricordare Bannister, morto da poco. Nel silenzio della sala del Grimaldi Forum, Elliott, ottantenne dagli occhi brillanti, si rivolse agli altri con un semplice ‘Ciao, fratelli’. Era un modo per dire che quella corsa era più di un numero sul cronometro: era un legame umano, un’idea di equilibrio.

Bannister lo aveva dimostrato nel 1954, diventando il primo uomo sotto i quattro minuti dopo aver pranzato con un’insalata di prosciutto e formaggio. Elliott, che studiava latino, leggeva poesia e praticava yoga, riassunse il credo in un documentario: “Se vuoi essere il migliore corridore del mondo, devi diventare il miglior uomo possibile.” Oggi gli atleti sono più forti, più scientifici, ma forse meno liberi. Jakob Ingebrigtsen ha detto in tribunale che il processo per diventare un campione lo ha trasformato in “una macchina che esegue ordini”. Una definizione che racconta il nuovo volto dello sport: più tecnologia, meno poesia. Eppure il miglio resiste. Kerr e Ingebrigtsen si sono avvicinati al primato, Faith Kipyegon ha sfiorato il muro dei quattro minuti al femminile. È come se la distanza fosse tornata a chiamare, a chiedere di essere ricordata.

Il record di El Guerrouj è ancora lì, più longevo persino del salto in lungo di Bob Beamon. Forse è questo il fascino del miglio: il modo in cui rispecchia la parabola del progresso umano. La fiducia vertiginosa del Novecento, e lo stallo del nuovo secolo, dove la grande corsa collettiva sembra essersi dispersa in mille direzioni.

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