È mai successo che un arbitro vada al Var e dica: “no, è sbagliato, ho ragione io”?
Il Var fa la lista della spesa e l'arbitro obbediente va a prendere la roba negli scaffali. Una volta chiamato, l'arbitro diventa un automa. Che cosa gli succede se disobbedisce?

Italian referee Federico La Penna checks the Video Assistant Referee (VAR) during the Italian Serie A football match Inter vs Torino on November 22, 2020 at the Giuseppe-Meazza (San Siro) stadium in Milan. (Photo by MIGUEL MEDINA / AFP)
È mai successo che un arbitro vada al Var e dica: “no, è sbagliato, ho ragione io”?
Il nodo della questione arbitrale è quello sollevato ormai una vita fa da Carlo Ancelotti dopo lo scempio perpetrato dall’arbitro Giacomelli in un Napoli-Atalanta 2-2. Ancelotti fu espulso e qualche giorno dopo, in un incontro con gli arbitri, davanti al pieno di sé Rizzoli, disse: «Ci potete dire chi arbitra? Il direttore di gara o il Var? Perché a me pare che arbitri il Var». Era il 2019. Sono passati cinque anni e adesso nessuno ha più dubbi. Arbitra il Var.
Giustamente oggi il direttore di Tuttosport Guido Vaciago sottolinea che a colpire dell’audio Var di Verona-Juventus è il rapporto che c’è tra il Var Aureliano e l’arbitro Rapuano. L’uno radiocomanda l’altro. Il Var Aureliano fa la lista della spesa, gli dice cosa comprare, in quali scaffali trovare la merce e l’altro obbediente va a fare la spesa. In queste condizioni, tutti possiamo arbitrare. Perché, diciamolo, l’arbitro Rapuano il rigore al Var (che secondo Rocchi non c’era) non lo aveva assegnato. Certo poi lo stesso Rapuano non ha espulso per la gomitata di Orban in faccia a Gatti ma in quel caso effettivamente il Var sarebbe servito (e invece ha dormito).
Ma il punto non sono gli episodi. Il punto è l’obbedienza. Una volta chiamato al Var, l’arbitro di fatto smarrisce la propria personalità. Non ci addentriamo in discorsi psicanalitici ma esperti potrebbero dirci molto sul transfert. È come se una volta chiamato l’arbitro non fosse più padrone di sé stesso. Cinematograficamente, sarebbe facile da rendere. Appena il direttore di gara comincia a correre verso il video, non è più lui, diventa succube della voce che lo radiocomanderà. Bisogna tornare a Boncompagni e Ambra Angiolini che poi però nella vita e con gli anni ha dimostrato eccome di avere una propria personalità. Gli arbitri no. Annuiscono (Pellegatti pochi giorni fa ha spiegato la genesi del suo annuire a Berlusconi), apprendono la lezioncina. Non oppongono mai obiezioni. E se ne tornano in campo a fare la spesa. A ripetere a pappardella la lezioncina.
Questo è il punto. Noi non ricordiamo un episodio in cui l’arbitro dice al Var: “no, vi state sbagliando, il regolamento dice diversamente”. Oppure; “no, non sono d’accordo, secondo me non è così”.
Il punto della questione è: che cosa succede a un arbitro che disobbedisce al Var? Viene punito? Perde consenso? Viene emarginato dal gruppo arbitrale? In fin dei conti all’arbitro conviene adeguarsi. Conviene per motivi di carriera che poi è il solo aspetto per loro interessante.
Qui non si mette in discussione il Var ma l’utilizzo che se ne sta facendo. Prima l’arbitro sbagliava in campo, con errori talvolta grossolani. Adesso, però, gli errori si ripetono al video. Anche perché il Var non è più solo un correttore in caso di strafalcioni. È diventato l’arbitro. È aumentato a dismisura il numero di eventi da studiare e osservare al microscopio. E per arbitrare bene così, tornando indietro ogni volta e sezionando ogni azione, le partite dovrebbero durare quattro ore.