Sal Da Vinci: «Rossetto e caffè mi ha cambiato la vita ma non è che oggi giro in Rolls»
Al Corsera: «Ho consolato mio padre quando nessuno lo voleva più. Fa male vedere che le persone cambiano marciapiede se ti incontrano. E io ero solo un ragazzino»

Sanremo (Im) 14/02/2025 - 75° Festival di Sanremo / foto Image nella foto: Sal Da VInci-The Kolors
«Un giorno trovo un messaggio su Instagram di Sabrina Ferilli: mi scrive che impazzisce per Rossetto e caffè e vorrebbe cantarla con me. Pensavo fosse un fake, invece alla fine l’abbiamo cantata insieme». È l’incipit dell’intervista di Sandra Cesarale del Corriere della Sera a Sal da Vinci
Sua moglie si è ingelosita?
«Macché. Dalle nostre parti si dice: chi si guarda il suo non fa male a nessuno. Paola è intelligente, insieme ne abbiamo passate tante. La mente ti spiega cos’è la vita ma è con il cuore che vale la pena di viverla».
Stefano De Martino faceva ascoltare Rossetto e caffè in tv, quando apriva i pacchi.
«È un ragazzo semplice e dolcissimo. Conosce tutte le mie canzoni a memoria, io invece ho bisogno del gobbo».
Sal Da Vinci («Solo mamma mi chiama Salvatore») con Rossetto e caffè, al grido di «Sei la mia gelosia/ Sei passione, dolore e follia», ha conquistato l’Italia e oltre. «È un successo partito dal basso, me la sono autoprodotta. L’ho pubblicata più di un anno fa e continua a fare numeri stratosferici, ci avviamo al terzo platino», racconta lui, 56 anni, nato a New York ma cresciuto a Napoli, una gavetta lunghissima iniziata con papà Mario Da Vinci — icona della sceneggiata napoletana — e culminata il 6 settembre con il live in piazza del Plebiscito davanti a migliaia di persone.
Il suo secondo nome è Michael perché?
«Mi chiamo come nonno, ma l’ho scoperto dopo che mio padre è morto. Nonna, calabrese, durante la guerra si innamorò follemente di un uomo meraviglioso, Michele, un militare della marina. Lei rimase incinta e lui partì per una missione: “Quando torno fra 15 giorni scendo in Calabria, facciamo i documenti e ci sposiamo”».
Invece…
«Nel golfo di Napoli un aereo lanciò una bomba sulla sua nave. È una storia che mi commuove sempre. Di nonno Michele non sappiamo nulla, nemmeno il cognome».
Non è facile resistere quando prendi i pugni in faccia.
«Ma sono contento di tutto quello che mi è successo. Fa parte di un cammino che mi ha portato fin qui».
Adesso tutti la vogliono.
«Con il successo le persone ti cercano. Se si brucia qualche lampadina per strada c’è il deserto, rimangono la famiglia e chi ti ama davvero. Sa che faccio appena sveglio?»
È cambiata la sua vita?
«No, non è che adesso giro in Rolls. Vado alla posta, dal fruttivendolo, da mamma. Vengo da una famiglia umile, mio padre si è fatto da solo, ha vissuto la fame, non la fama. Quella è arrivata dopo. Per lui la famiglia era il centro del mondo».
Negli anni ’80 e all’inizio dei ’90, qualcuno nel Nord parlava della “comitiva Vesuvio”.
«Non è più così, ma l’ignoranza è sempre in agguato. Nella mia vita ho vissuto successi e sconfitte, sono caduto tante volte».
La più dolorosa?
«Ho consolato mio padre quando nessuno lo voleva più. Era un uomo buono, un guerriero, ma fa male vedere che le persone cambiano marciapiede se ti incontrano. E io ero solo un ragazzino».
Quante vite ha vissuto?
«Me ne sono passate addosso almeno quattro: da bambino suonavo la batteria, poi il pianoforte; avevo lasciato il teatro, troppo guittume, Roberto De Simone mi ha convinto a ritornarci. Alla fine, di nuovo la musica. Quante volte ho detto: getto la spugna».
Un’auto dei sogni?
«Una Bmw station wagon, blu elettrico, appena la vidi mi lacrimavano gli occhi. Il direttore della concessionaria era un amico, mi inventai di tutto per comprarla».
Se l’è goduta?
«Poco: l’ho venduta, dovevo dare da mangiare a mia moglie e mio figlio. Non mi ero reso conto che stavo facendo qualcosa più grande di me. Le auto erano la mia malattia, da bambino guardavo i piedi di papà che premevano su freno e acceleratore. Alla prima guida per la patente ero pronto».