De Siervo: «Impedire la vendita di San Siro sarebbe un danno, nessun governo ha aiutato davvero il calcio»
L'ad della Serie A al CorSera: «Non hanno capito quanto gli stadi siano lo strumento necessario per restare al passo con i tempi. Milan e Inter rischierebbero un nuovo Flaminio».

Db Riad (Arabia Saudita) 02/01/2025 - Supercoppa Italiana / Inter-Atalanta / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Luigi De Siervo
L’ad della Serie A Luigi De Siervo, intervistato dal Corriere della Sera, ha parlato della possibile vendita dello stadio San Siro di Milano.
De Siervo: «Impedire la vendita di San Siro sarebbe un danno di immagine anche per Milano»
«I 48 consiglieri comunali che sono chiamati a esprimere il proprio voto hanno una responsabilità enorme. Impedire la vendita dello stadio non solo sarebbe un danno di immagine immenso ma comporterebbe, per la città, la perdita di una occasione storica. Questa è l’ultima possibilità che la politica milanese ha di dotare la città di un impianto all’altezza delle aspettative».
Quali sarebbero le ricadute?
«Il calcio sta cambiando velocemente: in questa fase storica in cui i diritti tv non hanno grandi margini di crescita, gli introiti da stadio fanno la differenza. La trasformazione profonda che i social hanno introdotto è il desiderio di partecipare all’evento dall’interno e di fotografarsi alla partita. L’adeguatezza dello stadio non è solo un’esperienza da vivere ma un fattore determinante per l’aumento dei ricavi di una società, diversamente il gap con le altre leghe aumenterà. E la nostra capacità di recuperare diventerebbe ancora più rarefatta».
C’è il tempo per concludere l’iter entro il 10 novembre, data dopo la quale scatta il vincolo di tutela del secondo anello di San Siro che impedirebbe perciò ogni modifica?
«L’urgenza non è più differibile. Peraltro non capisco tutte le polemiche relative alla demolizione parziale del Meazza. Wembley è stato abbattuto e ricostruito ex novo, continuando ad alimentare il proprio mito».
Se solo sei stadi italiani su 226 in Europa sono stati inaugurati negli ultimi diciotto anni significa che la politica è stata sorda davanti alle richieste. Come si può sensibilizzare il governo?
«La responsabilità è della classe politica degli ultimi vent’anni, non ha capito quanto gli stadi siano lo strumento necessario per restare al passo con i tempi. Siamo il Paese con gli stadi più vecchi d’Europa».
Come Lega vi aspettavate un contributo più ingente dal ministro dello Sport Andrea Abodi?
«Ha competenza, idee e ci ha dato una direzione corretta. Se ci sono problemi penso che la questione sia a monte: mi riferisco al Decreto Crescita o al Decreto Dignità. Non si è capito quanto il calcio sia determinante per il prestigio del Paese. Nessun governo ha davvero aiutato il nostro mondo».
Se la vendita non arriva a compimento i club sarebbero costretti a contemplare sedi fuori Milano privando la città di un indotto importante. C’è il rischio di un nuovo Flaminio?
«Il termine di paragone è azzeccato: Milano perderebbe la chance di avere uno dei tre più importanti stadi di Europa insieme a quello del Real Madrid e del Barcellona. La decisione sbagliata del consiglio di Milano consegnerebbe Milan e Inter a una fase crepuscolare della loro storia che non si meritano».