Barbara Bonansea: «È importante impegnarsi perché le donne devono fare un po’ più degli uomini per non rimanere indietro»
A Mundo Deportivo: «Mi emoziona sempre quando, al termine di una partita, le ragazze mi chiedono una foto e dicono: “Voglio essere come te”. In quei momenti sento di aver fatto qualcosa di bello».

Cm Ginevra 22/07/2025 - Europeo femminile 2025 / Inghilterra-Italia / foto Cristiano Mazzi/Image Sport nella foto: esultanza gol Barbara Bonansea
In un’intervista esclusiva con Mundo Deportivo, Barbara Bonansea (34 anni) ha ripercorso i momenti chiave della sua vita in campo e ha condiviso la sua visione sul futuro del calcio femminile. Di seguito alcune delle risposte più interessanti.
LE RISPOSTE DI BONANSEA
La tua carriera nel calcio femminile italiano è stata straordinaria e continua a esserlo. Guardando indietro, quali sono stati i momenti più importanti, sia a livello personale sia per la crescita del calcio femminile in Italia?
«Ho giocato solo in tre squadre, e ogni cambio è stato fondamentale nella mia carriera. Ho iniziato nei team maschili fino ai 13 anni, poi sono passata al Torino, poi al Brescia, dove sono cresciuta molto e ho capito che volevo diventare calciatrice. Il salto alla Juventus è stato alto e mi ha confermato di essere sulla strada giusta. La mia evoluzione è andata di pari passo con quella del calcio femminile in Italia: da quasi sconosciuto a ottenere visibilità e raggiungere il professionismo, grazie anche alle lotte con compagne come Sara Gama. L’arrivo della Juventus nel settore femminile ha cambiato la prospettiva del movimento e ha motivato altri club a investire».
Dal tuo punto di vista, in che fase si trova oggi il calcio femminile in Italia? Il passaggio al professionismo è stato un passo importante, ma cosa manca ancora per consolidarlo pienamente?
«Siamo senza dubbio in una fase di crescita. Negli ultimi anni abbiamo avuto alti e bassi, ma ora mi viene in mente il paragone con una start-up che investe per diventare un’azienda solida. Un passo chiave è arrivato nel 2019, con la buona prestazione della Nazionale ai Mondiali, che ha stimolato l’interesse e il numero di ragazze che volevano giocare. Poi è arrivata una flessione, anche per gli effetti della pandemia, ma abbiamo continuato a lavorare fino a ottenere il professionismo, un momento cruciale per il calcio femminile e per tutte le atlete in Italia. Oggi l’interesse si sta stabilizzando e, in questo quarto anno di professionismo, i club iniziano a consolidarsi».
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Sei un punto di riferimento per molte ragazze in questo momento, come vivi questo ruolo e che messaggio vorresti lasciare alle nuove generazioni che sognano di diventare calciatrici?
«La cosa bella è “non sentirsi” un punto di riferimento. Nel senso che in campo non penso mai: “Sono un punto di riferimento”. Penso più alla mia età, al fatto che sì, ho più esperienza, ed è naturale che le più giovani ti osservino e cerchino di capire come arrivare dove siamo arrivate noi. Mi piace e mi emoziona sempre quando, alla fine di una partita, le ragazze chiedono una foto e dicono: “Voglio essere come te”. È un momento speciale perché, riflettendoci, dici: “Ho fatto qualcosa di bello”.
Per come ho vissuto e vivo il calcio, con passione — qualcosa che coltivo ogni giorno, senza pianificarlo — il mio consiglio è seguire ciò che ci diverte e impegnarsi molto. Perché il posto da titolare o in squadra non te lo regalano. A meno che tu non sia così talentuosa da arrivare subito, ma anche così, il talento da solo non basta. È sempre importante impegnarsi e avere ideali per cui lottare, perché, secondo me, le donne devono sempre fare un po’ più degli uomini per non rimanere indietro».
La Juventus ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del calcio femminile in Italia. Cosa ha significato per te far parte fin dall’inizio di un progetto così solido?
«Come ho detto prima, la Juventus ha dato un segnale importante al calcio femminile. Già esisteva la Fiorentina femminile, nata qualche anno prima, ma la Juventus ha dato una sfumatura diversa, un segnale forte, e altri club hanno seguito l’esempio, sempre partendo dalla necessità di investire. Arrivare alla Juventus e trovare una struttura sportiva eccezionale, con tutto ciò di cui avevamo bisogno per essere già trattate come professioniste, ha fatto davvero la differenza».
Ricordi il giorno in cui ti hanno chiamata dalla Juve?
«Sì! Ricordo che mi ha chiamata Rita Guarino, l’ex allenatrice. Mi ha chiesto se volevo andare alla Juve e naturalmente ho detto di sì. È stato totalmente inaspettato: giocavo al Brescia, che all’epoca era una delle squadre più forti del calcio femminile, e pensare che la Juventus potesse chiamarmi sembrava impossibile. Quando è successo, ero felicissima e super emozionata».











