Ventuno anni di De Laurentiis, il rendimento potenziale del capitale investito nel Napoli è del 6.500%

Ha tirato fuori 16,65 milioni e oggi il valore del Napoli è stimato 1,1 miliardi di euro. Nel 2006 il primo, piccolo, utile: 1,42 milioni. Ripercorriamo la sua presidenza (oggi la prima parte)

De Laurentiis

Mg Napoli 23/05/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Cagliari / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Aurelio De Laurentiis

Ventuno anni di De Laurentiis, il rendimento potenziale del capitale investito nel Napoli è di 6.506,6%

È un caso unico nella storia del calcio italiano: vincere e guadagnare, perdipiù in una piazza che non si può certo dire avesse dimestichezza con i trofei. Ci sta riuscendo il Napoli, guidato da Aurelio De Laurentiis. I numeri sono chiarissimi: da quando, nel settembre 2004, rilevò la società dal Tribunale fallimentare, il produttore cinematografico – ma sarebbe più corretto chiamarlo imprenditore calcistico, poiché da tempo è il calcio l’attività dominante del suo gruppo Filmauro – ha conquistato due scudetti, tre coppe Italia e una supercoppa italiana, tirando fuori dalle proprie tasche 16,65 milioni di euro. Spiccioli, rispetto alle cifre della concorrenza, che si contano a centinaia di milioni. E oggi? Tralasciando le sue ultime dichiarazioni (“Non lo venderei nemmeno per due miliardi e mezzo di euro”) – si sa, egli ha un’irresistibile attrazione per le iperboli – una recente stima del Football Benchmark Group, società di analisi e consulenza attiva nel mondo dello sport, attribuisce al Napoli un valore di circa 1,1 miliardi di euro: per i feticisti delle percentuali, è un rendimento potenziale del capitale investito pari al 6.506,6%.

Vediamo com’è stato possibile, ripercorrendone per sommi capi tutto il cammino. Ma occorre evidenziare subito il nocciolo della questione: avendo sempre avuto l’obiettivo del risultato sportivo, il Napoli ha investito, a volte pesantemente, solo nella squadra e il bilancio sano è la conseguenza del raggiungimento di tale obiettivo. Non a caso, quando i risultati sportivi non sono stati all’altezza, il bilancio ne ha sofferto. Certo, investire nella squadra è condizione necessaria, ma non sufficiente: bisogna anche saperlo fare e ci vuole comunque la benevolenza di Eupalla.

DALLA C1 ALLA A IN TRE ANNI – Costruita in fretta e furia, la squadra vive una stagione insoddisfacente: nonostante l’esonero di Gian Piero Ventura e l’arrivo di Edy Reja, il Napoli manca la promozione, sconfitto nello spareggio dall’Avellino. E vanno male anche i conti, con una perdita di 7,06 milioni pur con un fatturato di 11,17 milioni, che per la C1 è cifra ragguardevole. Col tempo disponibile e dall’alto del proprio strapotere economico, il campionato successivo è una specie di passerella: la squadra conquista la promozione aritmetica in B con quattro giornate di anticipo, ma i conti seguitano a non sorridere, a causa di una perdita di 9,09 milioni.

Avendo un patrimonio netto iniziale di 3 milioni, il rosso del primo biennio obbliga De Laurentiis a una sequenza di ricapitalizzazioni per un totale di 13,65 milioni: ecco spiegati i 16,65 milioni di investimento personale. Da allora, il Napoli sta camminando sulle proprie gambe. La domanda sorge spontanea, direbbe l’indimenticato conduttore tv Antonio Lubrano (ha 93 anni): se il Napoli è partito con un patrimonio netto di tre milioni, come ha potuto darne 29,5 al tribunale per acquisire il titolo sportivo? Semplice: grazie a un finanziamento bancario di 32 milioni.

Abbandonata a maggio 2006 l’inascoltabile denominazione di Napoli Soccer e acquisito l’antico nome, il Napoli torna in A senza grossi patemi, arrivando secondo dietro la Juventus, finita solo in Purgatorio per un eccesso di indulgenza della giustizia sportiva nella vicenda di Calciopoli. E i conti sono in verde per la prima volta, con un piccolo utile di 1,42 milioni: del resto, la B è già un altro mondo rispetto alla C1 e lo si capisce dai 41,4 milioni di fatturato registrati dalla società partenopea.

DUE COPPE ITALIA E SETTE ANNI DI UTILI – Tornato in A, fra il mercato estivo e quello invernale il Napoli punta soprattutto sui giovani: circa 47 milioni per dieci giocatori, il ventenne Hamsik, il ventunenne Santacroce, i ventiduenni Lavezzi e Navarro, il ventitreenne Gargano, il ventiquattrenne Mannini, il venticinquenne Pazienza, i ventisettenni Blasi e Contini e il ventottenne Zalayeta, sempre con Pierpaolo Marino nelle duplici vesti di direttore generale e direttore sportivo e Reja in panchina. L’ottavo posto è un discreto risultato, ma è il bilancio a sorridere: 11,91 milioni di utili e un fatturato di 88,43 milioni più che doppio rispetto al precedente anno di B. Come mai? Facile indovinare: anzitutto grazie ai 43,15 milioni di diritti tv. E’ cosa nota: specialmente in Italia, l’architrave del sistema sono le televisioni a pagamento. E le famigerate plusvalenze? Ovviamente, con la squadra al primo anno di A, sono trascurabili: 440.494 euro. Ma l’aver puntato sui giovani è la base per quelle future.

Nella stagione 2008-2009 c’è più di un intoppo: la squadra parte benissimo, stazionando a lungo al quarto posto, ma tra gennaio e febbraio ha un crollo con due soli punti in nove gare, tanto che a marzo Reja è esonerato. Al suo posto Donadoni, che resterà pochi mesi, sostituito a sua volta da Mazzarri a ottobre del campionato successivo. Il riassetto coinvolge anche i vertici societari: via Marino, Riccardo Bigon è il nuovo direttore sportivo, mentre all’inizio della stagione 2010-2011 si aggiungerà Marco Fassone come direttore generale. Perché questi stravolgimenti? Per i risultati sportivi deludenti: il 12esimo posto nel 2008-2009 e un inizio poco promettente nel 2009-2010. Anche il bilancio rallenta, pur chiudendo comunque in utile: rispettivamente 10,93 milioni e 344mila euro.

Nel quadriennio di Mazzarri il Napoli aggiunge una coppa Italia alla sua bacheca e si consolida nelle parti alte della classifica: sesto, terzo, quinto e secondo posto, oltre agli ottavi di Champions, eliminato ai supplementari dal Chelsea che poi vincerà il trofeo. Tra il 2011 e il 2013 il fatturato si stabilizza sopra i 150 milioni: e se nel 2011-2012 è forte il contributo della partecipazione alla Champions, con 29,13 milioni di premi Uefa e 8,25 di incassi al San Paolo, l’anno seguente è la prima grossa plusvalenza a dare una mano: 28,63 milioni per la vendita di Lavezzi al Psg. E gli utili del biennio? 22,79 milioni in tutto, 14,72 nel primo e 8,07 milioni nel secondo anno. Lottare contro la Juventus, che ha cominciato a dominare il decennio – vincerà infatti 9 scudetti consecutivi – è impresa titanica: la società guidata da Andrea Agnelli ha fatturato 213,79 e 283,8 milioni. Non solo: chiudendo in perdita di 48,65 e 15,91 milioni, ha speso praticamente il doppio del Napoli.

Arrivati secondi a 9 punti dai bianconeri, gli azzurri provano a salire l’ultimo gradino, ingaggiando nell’estate 2013 un numero uno della panchina: lo spagnolo Rafa Benitez, vincitore di coppe internazionali e di campionati. Il mercato estivo e quello invernale sono da botti di Capodanno: i ventiduenni Zapata, Ghoulam e Jorginho, il venticinquenne Higuain, i ventiseienni Callejon, Mertens e Armero, i ventisettenni Albiol e Henrique e il trentenne Reina rappresentano un investimento di un centinaio di milioni. Il sacrificio necessario è la vendita al Psg di Cavani, che nei suoi tre anni alle falde del Vesuvio ha segnato 104 reti in 138 gare: la mega plusvalenza di 64,4 milioni e i 40,2 milioni di premi Uefa per la partecipazione ai gironi di Champions e l’approdo fino agli ottavi di Europa League spingono i ricavi poco oltre i 237 milioni, somma mai nemmeno avvicinata dal Napoli fino ad allora, e generano un utile netto, anch’esso record, di 20,22 milioni. Tutto perfetto, dunque? Non proprio. Sì, è vero, un’altra coppa Italia è stata vinta, anche se la serata è stata segnata in modo indelebile dalla tragedia per il ferimento di un giovane tifoso napoletano, Ciro Esposito, che morirà circa un mese e mezzo dopo. Ma in campionato, il terzo posto, pur ottimo, rappresenta comunque un passo indietro rispetto all’anno precedente. Ma c’è l’utile record, si dirà, che porta a sette gli anni consecutivi di utili per un totale di 71,816 milioni. Tuttavia, nello sforzo per vincere il titolo, gli stipendi sono cresciuti da 66,92 a 89,16 milioni e la quota ammortamenti da 35,63 a 59,31: in breve, i costi sono più rigidi, mentre i ricavi dipendono molto dalle coppe europee e dalle plusvalenze. E non c’è ogni anno un Cavani da vendere né esiste la garanzia di partecipare alle coppe europee.
(domani la seconda e ultima parte)

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