Lo scudetto del Napoli vissuto nella notte artica, con in panchina un uomo del Sud

POSTA NAPOLISTA - Lo scudetto più operaio. Vinto da leccese che tradisce l’accento pugliese solo dopo la vittoria. L'urlo “Campioni campioni” tra i ghiacci

napoli Conte Antonio Conte scudetto

Screenshot da TikTok.

Lo scudetto del Napoli vissuto nella notte artica, con in panchina un uomo del Sud

Caro Napolista, è un pezzo che non ti scrivo, ma ti seguo sempre, e sai bene che proprio non potevo mancare nell’apoteosi del catenaccismo. Il Quarto scudetto, il più operaio di tutti, vinto forse per la prima volta da un allenatore, da qualcuno fuori dal campo. E – nella fattispecie – da un allenatore del Sud, un leccese, uno che – me ne sono accorto solo io? tradisce l’accento pugliese solo dopo la vittoria. Dicevo, un uomo del Sud, uno che a vederlo tra Lukaku e McTom pare quasi mingherlino, né alto né basso, né magro né pingue, vestito di una polo nera da mercatino. Solo i nordici occhi azzurri stridono in un contesto così poco appariscente, quasi ad avvertire che – attenzione – c’è qualcosa che ribolle.

Infatti, quegli occhi azzurri saettanti in un corpo da meridionale svelano la sostanza di un leccese che, come tante volte è accaduto, partì dal Sud per fame e ambizione, per dimostrare al mondo intero come si lotta e come si vince, senza ipocrisie e senza piagnistei, facendo a pezzi luoghi comuni, estetismi, vittimismi, pizze e mandolini con la furia di un Jimi Hendrix.

Oggi, nel giorno decisivo, vorrei esserci, portare in alto il mio arcaico orgoglio meridionale, il mio amato catenaccio. Ma sono lontano, mille miglia lontano. Tristi vicende, oscure colpe da espiare, mi hanno confinato in un Ade solitario spazzato da venti gelidi. Nel silenzio, mi appresto a seguire la partita. Lo schermo del pc manda piazza Plebiscito, piazzale Tecchio travolti dalla fiumana azzurra. Qui ci sono solo io. Indugio sulla desolazione di questo luogo abbandonato. Sono pronto. Stringo i denti. Attacchiamo con ordine, con pazienza. Il Cagliari fa la sua partita. Spingiamo ma il gol non arriva. Al 20esimo segna l’Inter. Calma. Non è successo niente. Bisogna stare calmi. Al 30esimo però comincio ad aver freddo. Maledetto questo vento, maledetta questa plaga ghiacciata. Al 40esimo inizio a tremare. Il primo tempo è andato, se finisce così vincono loro… SCOTT! In acrobazia! Non ci posso credere, è un copione epico! Salto, urlo, vorrei che il mondo venisse giù. Silenzio tombale. Ci sarà qualcuno? Mi guardo attorno. Oltre l’uscio solo ghiaccio e silenzio. Torno alla partita.

Forza ragazzi, ci siamo quasi, bisogna tener duro – un gol è poco, abbiamo visto come va a finire… è poco, è poco… ROMELU! Questa volta caccio un ruggito, roba da far scappare gli orsi bianchi che – sono sicuro – si celano da qualche parte qui attorno. Ora si va in discesa, il Cagliari francamente non sembra volersi immolare per l’Inter e attacca in modo svagato. Bisogna solo attendere senza farsi male. Giusto il tempo che Neres si magni tre gol ed è finita, FINITA, all’ultimo respiro dell’ultimo giorno. A Napoli è il finimondo. Qui, un deserto di ghiaccio. Esco nel buio. Un vento gelido spira dalle vette interne e porta neve ghiacciata.

Urlo “CAMPIONI! CAMPIONI!” Le mie parole si perdono nella notte artica. In lontananza, una gigantesca parete di ghiaccio cede e si schianta rovinosamente sulla banchisa. Dio mio, chissà quanti pesci ha ucciso. Rientro al coperto, scuoto via la neve e guadagno il mio giaciglio. Sarà una dolce notte.

BaC1 da Salerno,
tuo Catenaccista

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