Viaggio al termine dello scudetto (ovvero la mia Napoli-Cagliari)
POSTA NAPOLISTA - Il racconto di una giornata particolare: dalla lezione universitaria allo sciopero dei trasporti, fino all'apparizione del Maradona

Mg Roma 23/05/2025 - campionato di calcio serie A / Napoli-Cagliari / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: tifosi Napoli
Viaggio al termine dello scudetto (ovvero la mia Napoli-Cagliari)
È difficile trovare le parole per raccontare la giornata dello scudetto. Giornata curiosa fin dal suo principio.
Prima della partita avevo una lezione da seguire all’Università, avrei dunque preso il treno da Caserta e poi raggiunto gli altri direttamente allo stadio. Alla stazione incontro quattro australiani di origini beneventane, che parlano una lingua fiabesca che è un misto tra inglese e napoletano: “Simme venute apposta pe ‘o match… comme se dice… ‘a partita.” Ma gli scioperi arrivano nei giorni meno opportuni e dunque io e i miei nuovi amici siamo costretti a separarci.
Decido di prendere il bus, e insieme a me entra un uomo palesemente ubriaco (sono le dieci del mattino) che prova ad attaccare bottone un po’ con tutti. Un uomo anziano, dietro di me, lo scaccia in malo modo: “Famme sta quiet”, gli dice molto bruscamente; quello borbotta qualcosa mentre io fantastico sulle decine di modi in cui avrebbe potuto rapinarci o ucciderci, o tutt’e due. Attacca a parlare anche con me. Io gli do corda per un po’ e poi fingo di accettare una telefonata. Funziona e il tizio se ne va, ma la mia finta conversazione è talmente credibile che il vecchio dietro di me attacca a parlare. “Vai pure tu a Plebiscito?” mi chiede. “In realtà vado allo stadio” rispondo, generando uno stupore probabilmente accostabile soltanto a una frase tipo “stanotte San Gennaro m’ha dato tre nummere e so’ asciute tutt’e tre.”
Scendo a Corso Umberto e arrivo alla Federico II, mi siedo davanti a tutto e quando il prof mi vede con addosso la maglia azzurra scudettata, si rende conto irritato del perché di quell’aula così vuota. Ma il Napoli è una scusa: di tutti gli studenti che seguono il corso, credo pochi altri (probabilmente nessuno) sarebbero andati allo stadio come me. Dunque non c’erano perché non gliene fregava niente. A me invece qualcosa me ne importa, anche se una piccola paura di far tardi all’evento mi assale. La lezione è pure interessante e l’ospite, Gabriele Frasca, dice cose probabilmente vere anche se per me emotivamente devastanti: che il romanzo è in fin di vita, soppiantato dal cinema e soprattutto dalle serie tv che hanno sopperito alla mancanza principale dei film e raison d’ètre dei romanzi: l’approfondimento dei personaggi. Anzi, l’immagine ha poteri che la parola scritta non ha. Lui, scrittore di romanzi, non sembra neanche troppo turbato per questo e mi chiedo come sia possibile. Ma è un lungo discorso, e in tutto questo si fa tardi.
Ho una partita da vedere, un’emozione da vivere.
Prendo la prima metro e come consigliatomi (male) dall’omino dei biglietti scendo a Museo per prendere l’altra linea. La metro è colma di maglie azzurre.
I treni per Campi Flegrei sono stati tutti cancellati per lo stesso maledetto sciopero e quelli per Pozzuoli arrivano già pieni da Garibaldi. Masse di persone provano a entrare ma non possono: i treni stanno per esplodere; gente grida; volano minacce e si sfiorano liti, alcuni escono spaventati e tremanti nonostante avessero trovato posto sul treno. La polizia è altrove.
“Così va la vita”… a Napoli.
Decido di uscire dalla stazione, un po’ turbato, soprattutto dall’idea di dovermela fare a piedi e con in testa la vaga intuizione di dover trovare qualcuno con cui dividere un tassì; cosa che faccio intercettando un italo-americano e un suo amico, che stavano vagheggiando ad alta voce sulla stessa idea. Fermiamo un tassista, profondamente turbato da tutte quelle attenzioni e che non sa assicurarci l’arrivo allo stadio, ma che ci chiede comunque euro dieci a persona. Titubanti, accettiamo, e per somma grazia del destino non solo arriviamo a Fuorigrotta, ma lo facciamo godendoci la vista dal Corso Vittorio Emanuele. Una volta arrivati ci salutiamo e così mi ritrovo al cospetto di un Maradona velato da fumi azzurri: belli a vedersi quanto maleodoranti e probabilmente cancerogeni.
Mangio cinque euro delle zeppole e panzarotti più buoni della mia vita e che probabilmente avranno lo stesso effetto fatale dei fumi che ho appena inalato. Mentre vago alla ricerca del mio ingresso incontro di nuovo gli australiani, che mi accolgono come fossi un parente che non vedono da vent’anni gridandomi: “C’avimme fatta fratè! We did it! Mica tenisse ‘nu biglietto?”
Ora, dopo tutto questo fiume di parole vi aspettereste, finalmente, il racconto del quarto scudetto vissuto dallo stadio. E invece no. Ma non perché tengo la cazzimma, ma perché Gabriele Frasca tiene ragione: certe cose non le puoi raccontare. Vi ho forse raccontato delle bellezze che ho ammirato a Chiaia durante il viaggio in tassì? Vi ho decantato le bellezze del Golfo?
No, perché una tale bellezza, una tale emozione non la puoi raccontare né spiegare. E non si può spiegare neanche quello che ho visto nella notte dello scudetto; potrei provarci, ma mi rifiuto di farlo. Perché certe cose non si possono restituire a parole: non importa quante ne metti una in fila all’altra. Altro è il ruolo delle parole, altro è il loro tragitto per arrivare al nostro cuore.
Lo scudetto del Napoli non si può raccontare, si può solo vivere.