La strana guerra al pezzotto. Com’è che Armani non minaccia ritorsioni contro chi compra borsa false?

Solo nel calcio la battaglia alla contraffazione la si fa minacciando i clienti e non le centrali dei falsi. Il pezzotto costa 15 milioni a squadra, non ci sembra questa gran cifra

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La strana guerra al pezzotto. Com’è che Armani non minaccia ritorsioni contro chi compra borsa false?

Avete mai sentito un grande della moda, chessò Giorgio Armani o Valentino Garavani, minacciare ritorsioni personali contro chi acquista una borsa pezzotta? La contraffazione è un problema strutturale per il fashion: costa al settore miliardi di mancati introiti con ovvie ricadute sui fatturati delle aziende e sui livelli occupazionali delle stesse. Ma i grandi brand collaborano con le forze dell’Ordine per contrastare le centrali di produzione e distribuzione dei falsi, mica per perseguirne i clienti (a volte ignari, va detto).

E con quale frequenza, invece, si registrano popstar invocare “tolleranza zero” contro chi scarica illegalmente la musica? Sì, 25 anni fa i Metallica trascinarono in Tribunale Napster, programma pioniere dello sharing peer-to-peer. Ma era un gruppo dell’establishment contro una piattaforma che metteva a repentaglio il business, senza cacce all’uomo contro chiunque avesse osato condividere file mp3. Similmente, venendo a fatti napoletani, la Procura portò alla sbarra Mixed by Erry, non il suo pubblico.

Insomma, leggere da un annetto a questa parte i “big” del calcio e della politica (che nel caso di Claudio Lotito, presidente della Lazio e senatore di Forza Italia, coincidono nella stessa persona) gongolare per i risultati dello scudo anti-pirateria, per gli utenti abusivi che hanno identificato e le multe che si sono buscati, è una stranezza. È una roba da sceriffo di Nottingham, da Geordie impiccato per aver cacciato un cervo del re, da potentato ottuso che reagisce in maniera sgraziata a un affronto. Nella distribuzione di beni di consumo voluttuario i toni sono altri.

Pezzotto, vessare il potenziale pubblico è un nonsense.

Certo, il diritto d’autore è tutelato dalla legge e non si vuole qui dire che il calcio professionistico debba stendere tappeti rossi ai fruitori del pezzotto. Ma, vista la crisi di appeal del prodotto televisivo e la confusione sui prezzi da parte di Dazn (che a botte di offertone e saldi dimostra di non credere per prima ai listini di inizio stagione), pensare di invertire la china vessando il pubblico potenziale è un nonsense. È come se l’amministratore delegato di Louis Vuitton contasse di aumentare le vendite proponendo tre anni di carcere a chi compra cinture false dagli ambulanti. Al massimo lo spingerebbe verso altre griffe, di sicuro non ne conquisterebbe la simpatia.

Anche perché, a tal proposito, malgrado la Lega Serie A batta sul tasto della pirateria che uccide il calcio, è difficile immaginare che qualcuno provi un briciolo di empatia o rimorso per quei “300 milioni l’anno” che il movimento perde a causa della contraffazione. Facendo i conti della serva, l’ammanco è di 15 milioni per squadra. La Serie A, intanto, secondo i calcoli di Calcio&Finanza è un buco nero che negli ultimi cinque esercizi ha accumulato perdite per 3,5 miliardi.

In che modo quei 15 milioni cadauno rappresentano una minaccia esiziale, allora? Per chi dovremmo provare compassione, secondo De Siervo: per il direttore sportivo che non può tesserare l’ennesimo brocco, per il mancato assegno all’agente del parametro zero, per il dividendo al Cda? Se per i vertici della Lega questo è l’argomento migliore per convincere uno scettico a spendere 400 euro l’anno per il calcio in tivvù, sono destinati a grosse delusioni.

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