Renato Zero: «Il potere equivale alla solitudine. La mia “Viva la Rai” è ancora attuale»
A Repubblica: «Bisognerebbe riscoprire un’Italia meno ridondante, invece il Paese appartiene a chi fa la voce più grossa e batte il pugno sulla scrivania»
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Renato Zero: «Il potere equivale alla solitudine. La mia “Viva la Rai” è ancora attuale». Renato Zero intervistato da Repubblica. Ne pubblichiamo alcuni estratti.
Da Fabio Fazio ha raccontato del bullismo: affrontava chi la insultava. È pericoloso il confronto?
Renato Zero: «Ancora si rischia. Ma il rischio chiama all’appello le istituzioni. Il manganello non deve essere usato impropriamente, per sedare una certa irruenza servono esempi, qualcuno che indichi la via: un politico, un amministratore comunale, un docente. Vedo grande superficialità, non c’è interesse verso le minoranze e la gente indifesa. Invece i ricchi trovano sempre il modo di non correre rischi».
Che rapporto ha con il potere?
«Il potere equivale alla solitudine. Va dato in quantità ragionevole. La cultura è potere, se la cultura diventa opinabile, gli squilibri appaiono evidenti. Se non avessi presenza non salirei sul palco, un artista depresso è un cattivo esempio e fa danni».
Ha detto che la fede “disturba chi non ce l’ha”. Lei crede?
Renato Zero: «Sono stato allevato dalle suore del Sacro Cuore, abitavamo a Roma a via Ripetta, all’epoca la direttrice offrì a papà due banchi per me e per la mia sorella minore, eravamo cinque figli. Avevo tre zii sacerdoti, mi hanno trasmesso la curiosità e il rispetto verso Dio e la fede. L’ho abbracciata. La gente è stata educata con l’idea: “Si va all’inferno”. Ma se c’è la buona fede il peccato cambia strada. Il peccato è di chi lo ritiene possibile».
Canta: “Viva la Rai, quante battaglie nei corridoi, poveri noi se non si mettessero d’accordo alla Rai…”. Che effetto le fa oggi?
(Ride) «È attuale… Lo fecero diventare l’inno della Rai, con mia grande soddisfazione. Alla fine dei giochi penso che un organismo come la Rai dovrebbe rappresentare il Paese nella sua consapevolezza. Mi piacerebbe che i giovani vedessero i programmi di Pasolini e Soldati: questo era il servizio pubblico. Improvvisamente sono sbucati i salotti bene arredati e poco convincenti, che hanno dato adito a una spaccatura che non fa bene. Bisognerebbe riscoprire un’Italia meno ridondante, invece il Paese appartiene a chi fa la voce più grossa e batte il pugno sulla scrivania».
Il maestro pizzaiolo al Corsera: «A Las Vegas, dopo una lezione, ho servito uno spicchio di margherita sbagliata): l’hanno pagata 270 euro a testa, in 300. In Canada una degustazione di sette spicchi delle mie pizze è costata mille dollari a persona».
A La Stampa: «Il mondo cattolico ha molto amato le mie canzoni. L’arcivescovo di Bologna, il cardinale Matteo Zuppi, mi onora della sua amicizia. È venuto a trovarmi fin quassù, a casa mia, diverse volte».
Al Cormezz: «Nella lettera di raccomandazione a Totò scrissero "È un bravo ragazzo, recita bene, non tocca i culi delle soubrette e non si perde nei congiuntivi e nei condizionali”».
In chiusura la vendita del quotidiano La Stampa che non sarà più torinese. Per Repubblica è in trattativa col gruppo greco ANT1 controllato dalla famiglia di armatori Kyriakou
Dialogo tra Fabri Fibra e Guccini. Fabi gli chiede «ti facevi le canne?» e Guccini «Ci sono due generazioni, si diceva: quella della marijuana e quella dell’alcol. Io appartenevo alla seconda»
A Sette: «Ho viaggiato in macchina con lui sino alla metropolitana di Richmond. l parchimetro lui dice: “Porca miseria, non ho coin”. Glieli ho dati io, però non gli ho mai detto che glieli regalavo»
di Giulia Supino - Scriveva articoli lucidi e documentati sul rapporto tra politica, malaffare e criminalità organizzata. Non faceva proclami: faceva nomi. Fu ucciso dalla camorra
A La Stampa: «In Sardegna a casa di Villaggio si sparse la voce che non avevo compiuto la transizione, fui supplicata da Paolo di fare uno spogliarello: c’erano Bianca Jagger, Bulgari, Florinda Bolkan, io ero schiva e selvatica, ma non nel mostrare il mio corpo, e lo feci»
Al Corsera: «Ho consolato mio padre quando nessuno lo voleva più. Fa male vedere che le persone cambiano marciapiede se ti incontrano. E io ero solo un ragazzino»
«Non ero certo che papà e mamma l’avessero fatto nel 1945, quando sono nato, così qualche anno fa, mi sono battezzato, ho rifatto anche la prima comunione e la cresima»