Vítor Pereira: «Bello vincere col Porto, ma in Arabia garantisco il futuro alla famiglia»
A Marca. Ha vinto in Europa, Cina, Brasile. «Non ho la pazienza di aspettare che arrivi l'occasione giusta. Il calcio è come l'arte, non basta vincere»

Vítor Pereira: «Che bello vincere col Porto, ma poi sono andato in Arabia per soldi»
Vítor Manuel de Oliveira Lopes Pereira ha tanti nomi è una certezza: allena per soldi. È andato in Arabia Saudita quando ancora non era una moda. È andato in Cina, quando avevano deciso di fare del calcio lo sport di stato. Ha guadagnato un sacco. E ha monetizzato la sua fama in Europa, al Porto. Ha allenato Al Ahli, Olympiacos, Fenerbahçe, Monaco 1860, Shanghai, Corinthians e Flamengo. Il suo palmares conta quattro campionati, una coppa e tre supercoppe. A Marca Vítor Pereira dice che “il calcio è un’arte”.
“Per me vincere non basta. Bisogna vincere con merito e qualità. Mi piace l’arte e il calcio, per me, è un’arte. Allenarsi è come creare qualcosa che esprima la mia personalità, ma, allo stesso tempo, cercare di stimolare i calciatori nel loro ruolo in campo. Il Porto è stato un periodo importante della mia vita perché ha segnato l’inizio della mia carriera a livello internazionale. Avevamo un gruppo molto forte. Abbiamo vinto due campionati perdendo solo una partita, il che dimostra che eravamo una squadra molto coerente. Abbiamo giocato un calcio dominante e di qualità”.
E’ un allenatore globale: “In Cina, a Shanghai, ho dovuto affrontare una sfida molto grande. Il Guangzhou Evergrande aveva vinto sette titoli di fila e la nostra squadra non sapeva cosa volesse dire vincere un campionato. L’abbiamo fatto ed è stato fantastico. Resteremo per sempre nella storia del calcio cinese. L’Olympiacos, dal canto suo, è un grande club che ci ha permesso di vincere titoli. Abbiamo vinto Coppa e campionato, ma sì, la squadra più forte che ho allenato è stato il Porto. Me ne sono andato per mia decisione. La mia intenzione, quando non ho rinnovato, era quella di andare in Inghilterra ad allenare l’Everton, ma alla fine non è andata così e sono andato in Arabia Saudita perché volevo garantire economicamente il futuro della mia famiglia”.
“Non ho la pazienza di aspettare che arrivi l’occasione giusta. Per me il calcio è come respirare e, quando inizio ad avere il fiato corto, devo tornare in campo. Ora sono un po’ più tranquillo, ma so che tornerò presto. Se un progetto nasce in una grande lega, va bene, ma in caso contrario, non aspetterò”.
Ha allenato l’Al Ahli prima del boom che ha vissuto la Pro League saudita. “Se pensi che basti assumere giocatori e allenatori di qualità per avere un campionato forte nel lungo termine ti sbagli. Per me, è stato ciò che è andato storto in Cina. In Cina l’obiettivo era la Nazionale e hanno cominciato a pensare di creare una squadra forte nazionalizzando i veterani stranieri, ma, visto che i risultati non sono arrivati, hanno chiuso il ‘rubinetto’ e hanno smesso di investire. Perché funzioni e abbia un futuro di qualità è necessario fare un forte investimento nei centri di formazione, nelle accademie e nella formazione degli allenatori locali. È l’unico modo per costruire qualcosa di forte e duraturo nel tempo.
Cristiano Ronaldo? “Penso che per Cristiano sia stato un modo per vendicarsi, per continuare a sentirsi importante. I giocatori che hanno avuto una carriera di vertice, indipendentemente dall’età, devono continuare a ricevere attenzione. Cristiano era molto intelligente: anticipava il futuro. Ha capito che in Arabia avrebbe continuato a essere importante e ha ritrovato la gioia di giocare, anche con la Nazionale. Era da tanto tempo che non vedevo Cristiano così felice. A volte ne hai bisogno. Trovi uno spazio in cui sei amato e ti senti importante e questo è ciò che ti ha dato Arabia, oltre ai soldi, ovviamente”.