Mazzola: «In Italia i conti del calcio sono sempre stati fatti quadrare un po’ di nascosto…» 

A La Verità: «Se si volevano comprare giocatori bravi occorreva spendere. Basta con il compiacimento di essere “perdenti onesti”»

mazzola Boninsegna Beckenbauer

1971 archivio Storico Image Sport / Inter / Roberto Boninsegna-Sandro Mazzola / foto Aic/Image Sport

La Verità intervista Sandro Mazzola, storica bandiera dell’Inter. Bandiere come lui non esistono più, dice.

«Se vuole la verità, io non ne vedo, mi spiace. Bandierine, forse quelle sì. Sa che c’è? Che si cambia facilmente la maglia, al giorno d’oggi, è proprio un altro mondo rispetto al mio. Però ho visto delle belle partite. Inzaghi è stato bravo a distribuire il gioco ed è un buon segno».

Mazzola si pronuncia sui conti un po’ torbidi di alcune società, come la Juventus, per la quale oggi si attende la sentenza definitiva sulla penalizzazione per il caso plusvalenze.

«Che vuole, con i prezzi dei cartellini di oggi… da quando sono arrivati i procuratori il calcio è cambiato. Ma guardi che in ogni caso è sempre stato così, eh, con i soldi. Se si volevano comprare giocatori di qualità, bravi… occorreva spendere. I conti del calcio italiano sono sempre stati fatti quadrare un po’ di nascosto, diciamo».

Giorgetti ha detto che se con la vicenda delle plusvalenze la Juve fosse colpevole sequestrerebbe lo stadio, invece che dare penalità. Mazzola:

«Non sarebbe male, non è una cattiva idea. Ma lo sa che da ragazzo mi volevano, alla Juventus? Mi affiancarono
con una Fiat 1100, dopo un allenamento. Rifiutai».

Parla della tragedia di Superga. Ha dichiarato, in passato, che da quel giorno non ha più pianto.

«Quei giorni lì cambiarono tutto. Ricordo come mi guardava la gente, dopo. Mai più, davvero. Anche se nella vita ne ho affrontate, di situazioni difficili. Significa diventare più forti. È questo che vuol dire».

A Mazzola viene chiesto cosa pensa dello striscione minaccioso affisso sotto casa del giocatore dell’Inter Dimarco dopo il suo coro contro il Milan. Il tifo è cambiato?

«Mah, direi di no. Ai miei tempi, a ogni derby di campionato alla domenica mattina c’era tutta la città in piazza Duomo con le bandiere. Un momento di felicità, di festa, era bello. Ma ogni tanto partivano gli insulti. Ricordo uno correre a perdifiato da via Dante fino in chiesa, a rifugiarsi perché lo volevano menare… le risse ci sono sempre state».

Mazzola parla dei suoi ricordi più belli: sono legati a Meazza, il suo tecnico degli inizi.

«Un giorno mi lamentai di un compagno di squadra. Mi prese da parte e mi disse: “Uè pastina! Ricordes, mi ho vinciù due campionati del mondo, e non mi sono mai lamentato dei miei compagni di squadra. Te capì? Se ti sento ancora, te non giochi più”. Raggelai. Per me Meazza era un idolo, facevo di tutto per ben impressionarlo. Mi ha insegnato molto, da ogni punto di vista. Era ambidestro, non sapevi mai con quale piede avrebbe calciato».

Consigli per le prossime sfide? Mazzola:

«L’importante è avere giocatori che abbiano voglia di lottare, e di martellare gli avversari. Ogni tanto la teoria compiaciuta del perdente onesto colpisce ancora il tifoso interista, che si lascia confondere dal nero invece che
guardare l’azzurro. Invece di azzurro in questa nostra maglia ce n’è più di quel che si vede. Di certo non conosciamo il nero e il buio della Serie B. Lì non ci siamo mai stati. E siamo gli unici».

 

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