Bob Beamon: «L’atletica è una meraviglia ma arriva a pochi. Gli atleti non si svelano veramente»

Alle Olimpiadi del '68 il suo salto fu da record: 8,90. A La Stampa: «Quel salto ha cambiato la vita degli altri, quelli che hanno provato a batterlo, non la mia» 

bob beamon

Su La Stampa un’intervista a Bob Beamon. Ai Giochi del ’68 rivoluzionò lo sport atterrando a 8,90 nel salto in lungo. Si trova a Eugene per assistere ai Mondiali di atletica.

Che musica vorrebbe per la colonna sonora del suo salto epico?

«Salsa. Lo sente il battito della rincorsa? Sì, salsa: l’abbandono del volo e il tempo frenetico dell’atterraggio con i piedi che scattano e non possono stare fermi una volta tornati in piedi».

E ai Mondiali di Eugene che musica c’è?

«Manca, è tutto spettacolare, eccitante, ma mostrare gli atleti sempre e solo concentrati su un unico obiettivo, come se non potessero ascoltarsi, svelarsi veramente, mi sembra un limite. Nonostante siano forse più preparati, di certo più attrezzati rispetto ai miei tempi, fanno meno affidamento sul potere delle vibrazioni. Io metterei su proprio uno spettacolo insieme alla competizione in modo da avere gli sportivi in mezzo per esaltare il tutto. Coinvolgerebbe il pubblico».

Non è una distrazione?

«Mah. L’atletica è una meraviglia e arriva a pochi, troppo pochi. Qualcosa si sbaglia e forse pure per questo molti talenti preferiscono passare ad altro. Mi fa innervosire».

Ricorda il suo 1968.

«Noi eravamo fieri di rappresentare gli Stati Uniti, non tutti gli americani erano fieri di essere rappresentati da noi. L’identità era un concetto più sfuggente».

Ha mai compiuto gesti eclatanti sul podio per perorare una causa politica?

«Certo, erano anni in cui non volevi schierarti pubblicamente ed eri costretto a farlo comunque. Quando ti sbattevano davanti le discriminazioni non si poteva guardare da un’altra parte. Io ho perso diversi contratti e il mio sponsor mi ha abbandonato a tre mesi dai Giochi di Città del Messico perché ho rifiutato delle competizioni organizzate da gruppi dichiaratamente razzisti».

Oggi mandare messaggi è più facile?

«Davvero? È più semplice farli arrivare: sventoli un cartello e i social lo rimbalzano. Però bisogna pensarlo, scriverlo, volerlo mostrare. E ci sono ancora delle conseguenze. Ci sono sempre».

Quanto ha cambiato la sua vita quel suo salto?

«Sono diventato padre, nonno, ho fatto altri mestieri. Sarebbe successo comunque. Quel salto forse ha spostato di più la vita di altri, di quelli che hanno provato a batterlo, di quelli che lo hanno usato come stimolo, di chi oggi fa come me e lo riguarda anche solo per sentire il ritmo».

 

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