Come fa il Barça pieno di debiti a fare mercato? Jordi Cruyff spiega il miracolo «ammortamenti»

Al Guardian: serve tanta fantasia. In Spagna abbiamo un fair play finanziario durissimo, altrove sono molto più elastici

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Ce lo siamo chiesti tutti, ad un certo punto: ma se il Barcellona è pieno di debiti come fa a spendere tutti quei soldi al mercato di gennaio? Lo spiega, in una bella intervista al Guardian Jordi Cruyff, l’autore dei “colpi” Ferran Torres e Aubameyang. E’ stato giocatore, allenatore, direttore sportivo, figlio di Johan. Suo padre ha costruito il Barcellona moderno, Jordi lo sta ricostruendo.

Tanto per cominciare, a dispetto delle apparenze, in Spagna al rispetto di una certa sostenibilità finanziaria ci tengono. Sono molto duri. I club devono rispettare tetti di ingaggio (quello del Barca è addirittura in negativo, per ora). Il Barcellona ad agosto aveva debiti per 1,35 miliardi di euro. I giocatori hanno dovuto tagliarsi lo stipendio. E quindi ecco la domanda: come li ha comprati Torres e Aubameyang?

“La risposta è ammortamenti”, dice Cruyff. “Dividi il costo per x anni e da lì cominci”. E’ un casino: piani a lungo, medio, breve e ultra-breve termine che funzionano in parallelo, un equilibrio tra la costruzione della squadra e la riduzione del debito.

“Le regole del fair play finanziario spagnolo e i problemi economici fanno sì che il Barcellona al momento può investire solo un euro ogni quattro che può risparmiare. Sono regole, dice Cruyff, “molto più dure che nel resto d’Europa, il che è curioso. In Inghilterra sono più flessibili. In Spagna vieni bloccato. E devi essere creativo”.

“Conoscendo la situazione economica, i limiti salariali, i giocatori devono voler venire. Sanno che potrebbero guadagnare di più altrove e tutti e quattro gli acquisti hanno fatto uno sforzo in modo da poter far funzionare i numeri. Il Barcellona è ancora speciale, un club per il quale i giocatori sono disposti a perdere soldi pur di lavorarci“.

“Sono stato giocatore, allenatore, direttore sportivo – il calciatore è la cosa più bella di tutte – e non so che ruolo ricoprirò tra 10 anni, ma quello che so è che non mescolo mai: quando sono una cosa, quella sono. Sedersi sulla sedia di qualcun altro? No. Questa è la regola numero uno. E regola numero due, tre, quattro e cinque. Ma essere stato allenatore aiuta a discutere le cose con gli allenatori nella loro lingua. Questo non significa necessariamente che lo farai bene, ma ti aiuta a capire meglio il giocatore, l’allenatore e le sue esigenze”.

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