Corvino racconta Vlahovic: «Alle firme sua madre mi disse che mi stava dando il nuovo Batistuta»
Sulla Stampa il direttore che ha scoperto l'attaccante serbo. «Tra i suoi punti di forza, oltre alla voglia di crescere e alla fame di vincere, c’è l’umiltà»

Db Torino 18/02/2022 - campionato di calcio serie A / Juventus-Torino / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Dusan Vlahovic
La Stampa intervista Pantaleo Corvino. Ha spento 72 candeline ma ha ancora tanti progetti – a cominciare dal Lecce, che guida la Serie B – e s’è affermato negli anni come uno dei migliori talent scout italiani. Fu lui a intuire le potenzialità di Vlahovic e a portare questo giovane serbo in Italia. Era minorenne ma la Fiorentina lo pagò 1,5 milioni. Non sono pochi.
«Eppure all’epoca non mancarono le critiche: qualcuno giudicò la cifra eccessiva per un ragazzino non tesserabile subito e che precludeva l’ingaggio di altri extracomunitari. Io non vacillai e i Della Valle si fidarono. Sapevo di investire bene e non potevo indugiare: Dusan era corteggiato da club di grande appeal, alcuni con possibilità economiche nettamente superiori: sulle sue tracce c’era la Juventus e anche l’Atalanta. Dall’estero si erano candidate Arsenal e Borussia Dortmund. Fummo tempestivi nella decisione, incise anche la stima che mi ero costruito nei Balcani visto che avevo già scovato Jovetic, Vucinic…»
Quando ha visto per la prima volta Vlahovic?
«Ero a Belgrado per trattare Milenkovic, fu un attimo intuirne le qualità: oltre al senso del gol, mi colpì la destrezza, il modo con cui rendeva facili i gesti tecnici. E poi la personalità, straordinaria per un diciassettenne. Al momento delle firme, davanti a un contratto adeguato al valore ma comunque importante per un ragazzino, la mamma, sorridendo, mi invitò a stare tranquillo: “Direttore, le sto dando il nuovo Batistuta”. Io risposi con un altro sorriso: “Mi accontenterei del nuovo Toni”».
Vlahovic il più giovane di sempre a debuttare in prima squadra col Partizan e a disputare il derby con la Stella Rossa.
«Tra i suoi punti di forza, oltre alla voglia di crescere e alla fame di vincere, c’è l’umiltà. Capita che alcuni giovani in orbita prima squadra, specie se già contrattualizzati con un buon ingaggio, storcano il naso se dirottati in Primavera. In tanti mi hanno lanciato occhiate di fuoco, o hanno abbassato lo sguardo per non tradire la reazione. Quando chiesi a lui, dopo aver parlato naturalmente con Pioli, di dare una mano nella finale di Coppa Italia con il Torino, mi rispose con entusiasmo: “Non solo gioco, direttore: faccio gol». Promessa mantenuta? «Due reti all’andata a Firenze, una al ritorno: doppia vittoria e trofeo viola»