“Terroni” non è diffamazione perché i terroni non esistono. Feltri assolto da un giudice di Cava dei Tirreni
Libero esulta in prima pagina: "la polemica giornalistica non è un testo per educande e neppure una lettura da fare in chiesa"

Se i terroni non esistono, perché la “razza terrona” come quella “polentona” non esiste, allora definire i meridionali “terroni” non è diffamazione. Lo ha sancito un giudice di Cava dei Tirreni, Nicola Mazzarella, che con una sentenza ha assolto direttore editoriale di Libero Vittorio Feltri, per aver usato l’epiteto – «terroni» – in un suo articolo.
E’ proprio Libero che mette in prima pagina la notizia: “respinta la richiesta di risarcimento danni mossa da un cittadino campano, che ci accusava di odio razziale e di diffamare i meridionali, e lo ha condannato a rifondere tutte le spese”.
Ovviamente la sentenza viene letta da Libero con i toni della vittoria politica.
“Il magistrato ha il merito di prendere le cose per quel che sono, non ingigantirle per ottenere un titolo di giornale e ricordare a tutti che nei tribunali si dovrebbero discutere questioni serie, torti e ragioni, diritti e doveri, non polemiche da cicisbei. Mazzarella sa che la giustizia è cosa sacra, non va usata come cassa di risonanza di controversie televisive, giornalistiche o di fazione né tanto meno come laboratorio di indottrinamento politico e culturale”.
“Il verdetto stabilisce che, visto che la razza terrona, come la razza polentona, non esistono, perché gli italiani costituiscono un unico aggregato sociale e giuridico, parlare di terroni in genere non è diffamazione, perché il reato richiede destinatari chiaramente individuabili”.
Per il giudice, poi “Feltri esercita «un diritto di critica, espressione della libertà di pensiero», che, come insegna la consolidata giurisprudenza della Cassazione, «non può essere rigorosamente obiettiva e asettica»”.
Libero a questo punto si scioglie, e per difendere il suo diritto di chiamare “terroni” i meridionali vola bassissimo: chiama in causa la Corte Europea di Strasburgo e Voltaire.
“la polemica giornalistica non è un testo per educande e neppure una lettura da fare in chiesa. È lecito usare toni pungenti e incisivi e formule verbali che non sono normalmente adoperate nei rapporti interpersonali”.
Addirittura, “quella del Mazzarella è una sentenza storica, perché sposa il buon senso anche a costo di andare contro il senso comune, o post comunista, e perché privilegia i fatti che stanno sotto alle parole ma nello stesso tempo valorizza le parole, riuscendo a interpretarle nel modo corretto”.