Lotito: «Se non si gioca più risparmio 4 mesi di stipendi, ma ragiono nell’interesse di 20 club»
Intervista a Repubblica: «Chi non vuole giocare, è perché sta per retrocedere. Non leviamo tamponi a nessuno. Se le tv pensano di avere ragione, paghino e poi richiedano i soldi»

Repubblica intervista il presidente della Lazio, Claudio Lotito. Ribadisce che se il campionato non ripartirà «si rischia di mandare a gambe all’aria il sistema» e aggiunge che «alcune società stanno preparando un documento condiviso per mettere a nudo i rischi effettivi che corrono».
Dal suo canto, assicura di essere pronto a ripartire.
«Mi chiamano Lotito il virologo, lo scienziato, ma alla Lazio ho una struttura eccellente. Ho già tamponi e test sierologici. E ho fatto avere le mascherine anche a qualche presidente. A Formello ho il cardiologo, l’internista, l’otorino e l’urologo, perché cose come il varicocele una volta si scoprivano al militare. Sono in grado di fare la sanificazione anche subito, la mia azienda lavora negli ospedali».
Respinge al mittente le accuse di chi dice che la sua fretta di tornare in campo dipenda dal fatto che vuole vincere lo scudetto.
«Ma se non si gioca più io sono già in Champions e risparmio quattro mensilità di stipendi. Avrei la convenienza a non giocare, ma io ragiono di sistema. Altri no».
Non gli piace l’idea dei play-off per assegnare lo scudetto
Sarebbe più favorevole ad una partita secca. In ogni caso, dice, ripartire rappresenta, in parte, una penalizzazione per la Lazio.
«Noi avevamo fatto una scelta, ritenendo di non potercela giocare su tre fronti avevamo sacrificato l’Europa League, visto che per orari e spostamenti era la competizione più scomoda. Così avremmo giocato una volta a settimana mentre gli altri giocavano due volte. Se si ripartisse giocheremmo tutti due volte a settimana, perderemmo un vantaggio. Ma io ragiono nell’interesse di 20 club».
Invece qualcuno non lo fa.
«Provate a incrociare le dichiarazioni con la posizione in classifica. E anche se nessuno lo ha mai detto in assemblea, nella testa delle persone c’è l’idea di bloccare le retrocessioni anche a costo di ritrovarci la Serie A a 22 squadre».
Sui medici di alcuni club contrari alla ripresa:
«In Lega ho ascoltato le considerazioni di cosiddetti esperti, consulenti medici delle squadre. A chi di loro ci sconsigliava di riprendere gli allenamenti, ho chiesto che me li vietassero, ma su presupposti scientifici. Invece mi dicevano “che figura facciamo di fronte ai morti?”. Io gli ho spiegato la natura del virus — prima di fare altro, ho studiato medicina e pedagogia — e ho detto che mi sarei aspettato i test sierologici, utili a vedere chi il virus lo ha già avuto, oltre al tampone che verifica solo lo stato del momento. A un medico dissi che andava bene per fare il professore di chitarra e mandolino».
I problemi etici esistono, spiega, ma si possono superare.
«Certo che esistono. Al punto che ai miei dipendenti ho fatto un’assicurazione individuale. Come Federazione abbiamo rappresentato la possibilità di avere accordi con il Campus biomedico di Roma e altre strutture private o pubbliche, non leviamo tamponi a nessuno, e poi sono in numero esiguo quelli che ci occorrono: 40 tamponi a squadra per 20 società. Vanno fatti tre volte, a stare larghi sono 2500 tamponi».
Sulla data del 18 maggio per gli allenamenti di gruppo, stabilita dal ministro dello Sport Spadafora.
«E perché una data è meglio di un’altra? Ha uno studio di cui non siamo a conoscenza? Il campionato ripartirebbe a porte chiuse, ci sarebbero 70, 80, forse 90 persone oltre alle squadre: basta fare i controlli anche a loro. Io ho 2000 dipendenti che vanno a lavorare per 1600 euro al mese nei reparti Covid. E non si è ammalato nessuno, perché ho preso per tutti mascherine Ffp3 prima ancora che scoppiasse l’epidemia, oltre a guanti, occhiali e tute. Piuttosto, perché lo Stato ha mandato medici e infermieri negli ospedali senza adeguati presidi di sicurezza?».
Sui diritti tv.
«Qualcuno dei 20 club si è astenuto quando abbiamo messo ai voti l’ipotesi di andare a recuperare i soldi. Mi chiedo perché. Se c’è un contratto, e il nostro è blindato, le tv devono adempiere. Molti club hanno già ceduto il credito alle banche facendoselo anticipare: ora c’è una scadenza e abbiamo un cliente che dice di non voler pagare. O chiede sconti senza senso. Se le tv pensano di avere ragione, paghino e poi richiedano i soldi. Sennò sono inadempienti. Io non ho chiesto cassa integrazione e in attesa di conoscere l’entità del danno non ho preso decisioni: ma se non ci paga più nessuno, non posso mica far saltare la società».