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Il fallimento del Parma, confesso che ho gioito

Il fallimento del Parma, confesso che ho gioito

I tedeschi, che sono tremendamente sinceri o – a seconda dei punti di vista – privi di certi pudori, utilizzano un termine ad hoc, schadenfreude, parola qui in Italia traducibile solo con la seguente perifrasi: piacere provocato dalla sfortuna altrui.

Ciò non vuol dire – almeno credo – che questo sentimento alligni più profondamente nei cuori dei tedeschi che in quelli di noi italiani: le esultanze che hanno fatto seguito alla sconfitta della Juve nella finale di Champions sono una chiara dimostrazione di schadenfreude tricolore.

Tutto questo preambolo, cari amici del Napolista, per comunicarvi che ho provato un moto di gioia alla notizia del fallimento del Parma calcio, a dispetto del tono affranto delle cronache nazionali.

Sono tornato indietro, con quella potente macchina del tempo che sono i ricordi, ai tempi in cui i Ducali di Calisto Tanzi stringevano strani sodalizi con il Verona per mandarci in serie B (ricordate lo strano caso delle omonimie tra un Pastorello presidente del Verona e un altro Pastorello procuratore del terzino del Parma Antonio Benarrivo?).

Confesso al tempo stesso la mia frustrazione (opposto della schadenfreude?) per il mercato dell’Inter – quest’ anno miseramente fuori dalle competizioni europee – che si concede il lusso di sottrarre a colpi di milioni Kondogbia ai cugini rossoneri, per un mercato che sancisce la fine di ogni illusione sul fair-play finanziario e ridà slancio ai cacciasordisti di ogni latitudine. Ma sì! In fondo il calcio è panem et circenses e solo pochi di noi si erano illusi che potesse essere anche altro.

Consoliamoci con la nostra svolta pragmatica, dal visionario Benitez, che prendeva appunti sul taccuino e chiedeva un colpo d’ali per spiccare il volo, al professionale Sarri che si accontenta del regista di fiducia e trova subito accoglienti e adatte all’uso le strutture di Castelvolturno, precedentemente controverso oggetto di dibattiti.
Davide Bagnasco

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